Dalla fine del 2022, un’ondata di scioperi, proteste e manifestazioni portate avanti dai lavoratori e dalle lavoratrici – principalmente quelli impiegati nel settore pubblico – ha travolto il Regno Unito. Dal movimento Don’t Pay, che ha coinvolto i privati cittadini in una protesta contro i disagi derivati dall’aumento del costo dell’energia, alle proteste degli impiegati nel settore dei trasporti e della sanità pubblica, i lavoratori stanno scendendo in piazza da diversi mesi per chiedere al governo conservatore di Rishi Sunak delle azioni che pongano un freno ai danni provocati dall’inflazione crescente.
Infatti, sebbene il Regno Unito si trovi in una condizione economica tendenzialmente migliore rispetto a quella di altri paesi europei, è pur vero che gli effetti della pandemia da Covid-19 e del conflitto tra Russia e Ucraina hanno contribuito a incrinare in profondità l’impianto economico inglese. Ad aver subito il colpo più duro sono naturalmente le fasce più deboli della popolazione, schiacciate dalle conseguenze devastanti dell’inflazione: il rallentamento della produzione verificatosi durante la pandemia ha generato degli scompensi nel rapporto tra domanda e offerta. La riduzione di quest’ultima, unitamente all’aumento dei prezzi delle materie prime dovuto al conflitto russo-ucraino, ha provocato un aumento generalizzato dei prezzi al quale non sempre è corrisposto un aumento dei salari, specialmente per i lavoratori e le lavoratrici impiegati nel settore pubblico. Le conseguenze sono facilmente deducibili e consistono nella svalutazione della moneta e nella conseguente riduzione del potere d’acquisto dei singoli cittadini, che difficilmente riescono a far fronte al periodo di crisi se le loro condizioni economiche di partenza non sono stabili.
Nel caso specifico del settore sanitario inglese le proteste si allargano a temi che vanno anche oltre le condizioni salariali di chi lavora. L’insieme di rivendicazioni portate avanti dallə manifestantə, infatti, nasce da una critica alla gestione del settore sanitario nel suo complesso, troppo spesso bistrattato da anni di governo conservatore e vittima di tagli negli investimenti pubblici: il Covid, secondo diverse agenzie di ricerca tra cui King’s Fund e Health, non ha fatto altro che esacerbare delle contraddizioni già presenti prima della pandemia. Durante quest’ultima si è registrata una diminuzione dei posti letto disponibili in ospedale del 50%, a fronte di un calo drastico delle assunzioni nel settore sanitario e della quantità di potenziali nuovi operatori sanitari e medici a disposizione. In questo senso la Brexit non è stata d’aiuto, tant’è vero che dopo l’uscita del Regno Unito dall’Europa tutti i medici provenienti da altri paesi dello Spazio Economico Europeo hanno avuto maggiori difficoltà a esercitare la professione nel Regno Unito, mentre chi era intenzionato a trasferirvisi per lavorare è stato fortemente scoraggiato dalle resistenze provocate dalla Brexit.
Nonostante le leggi promulgate dal governo per scoraggiare lə manifestantə a scioperare, visti anche i forti disagi provocati dagli scioperi stessi, lavoratori e lavoratrici stanno comunque portando in piazza le loro rivendicazioni, organizzati dal Royal College of Nursing, il sindacato britannico che rappresenta e difende gli interessi di infermierə, ostetrici e ostetriche, assistenti sanitari e studenti di infermieristica. A questi si aggiungono i paramedici e il personale che lavora sulle ambulanze, mentre i medici ‘junior’, cioè i medici qualificati che non sono ancora abilitati al lavoro indipendente, sono stati chiamati al voto per ratificare uno sciopero di 72 ore che potrebbe essere imminente, e tenersi a Marzo.
Giulia Imbimbo