Casa Vacante a Bologna: occupare per costruire una città nuova
Casa Vacante: edificio occupato a Bologna.

Lo scorso 5 ottobre LUnA – Laboratorio Universitario d’Autogestione – ha occupato un immobile nel centro di Bologna lasciato alla polvere ormai da anni. Casa Vacante, l’edificio di proprietà dell’ente Asp, è «uno spazio che vuole essere casa-laboratorio, che vuole non solo dare una soluzione abitativa immediata a chi lo necessita, ma anche aprire spazi politici di discussione seria, per la trasformazione radicale delle cose», si legge in un comunicato del gruppo. L’occupazione, sita in via Capo di Lucca, emerge in un contesto urbano di crescente marginalizzazione e precarizzazione, in cui i costi crescenti dei canoni di locazione e della vita quotidiana, insieme alla saturazione dello spazio abitabile a causa della turistificazione e dell’uso di piattaforme quali Airbnb, rendono la città abitabile per pochi.

L’apparato statale locale sembra foraggiare la logica estrattivista, anziché porsi in contrapposizione a essa, e assumere una mentalità imprenditoriale, tale per cui le ragioni del suo agire si sovrappongono a quelle degli investitori privati, locali e transnazionali. Viene favorita la direzione, orientata al profitto, impressa da attori economici responsabili della trasformazione e gentrificazione di quartieri popolari come la Bolognina con la costruzione di studentati di lusso quali Beyoo Laude Living e The Student Hotel. Risulta rilevante notare la recente modifica della dicitura di quest’ultimo in The Social Hub, al fine di mostrare vicinanza alle necessità sociali, nonostante gli elevati costi per soggiornare in una delle loro stanze (le cifre si aggirano intorno agli 800 euro) lascino intendere ben altro. 

In tal modo, l’amministrazione pubblica viene meno al suo primario obiettivo di tutela della collettività e del bene comune. In più, si è giunti a un tale livello di feticizzazione della proprietà privata che si è del tutto normalizzato l’uso di metodi poliziesco-repressivi a discapito di chi per necessità occupa immobili abbandonati da anni, come è emerso in seguito alle precedenti occupazioni a Bologna. Le città, pertanto, non sono più luoghi, ma vere e proprio risorse economiche, bazar a cielo aperto la cui accessibilità è condizionata dalle possibilità materiali di ognunə, non vi sono luoghi di socializzazione esuli dal consumo e l’alienazione che ne deriva è sempre più stringente.

L’utilizzo dello spazio urbano non è neutrale, ma frutto di precise scelte politiche, volte a privilegiare gli interessi e i bisogni di taluni a discapito di altri, che finiscono per ridisegnare il tessuto sociale cittadino, «trasformando Bologna in una grande casa vacanze». Diviene fondamentale, dunque, reclamare il diritto alla città che, come affermava Henri Lefebvre nel 1976, «è insieme un grido e una richiesta. Il grido era la reazione al dolore esistenziale per la crisi devastante della vita quotidiana nella città. La richiesta era in realtà un ordine, di guardare in faccia questa crisi e di costruire una vita urbana alternativa, meno alienata, ricca di significato e giocosa ma anche conflittuale e dialettica, aperta al divenire, agli incontri».

Casa Vacante a Bologna
Interno Casa Vacante (fonte: LUnA)

Qui di seguito l’intervista ad Antonella, un’attivista e occupante di Casa Vacante:

Nelle ultime decadi la città di Bologna ha subito un processo di gentrificazione e turistificazione che ha generato notevole surplus produttivo ad appannaggio di privati locali e transnazionali. Il consolidamento della logica estrattivista dello spazio urbano ha reso la città abitabile per pochi. Lo spazio in città è sempre più saturo, e i costi per vivervi sono sempre più alti. In che modo Casa Vacante si inserisce in un tale contesto? Perché si è sentita la necessità di occupare, di creare un’esperienza di questo tipo?

«Casa Vacante nasce proprio da osservazioni e ragionamenti in merito alle forme che Bologna sta assumendo, quindi sulle dinamiche di gentrificazione subite dalla città, con un picco, anzi, un’esplosione nell’ultimo anno. Così Bologna diventa una città accessibile a pochi. Da una parte ci sono edifici, come lo era Casa Vacante, vuoti da anni e anni, e dall’altra vi sono tutti quegli edifici affittati tramite Airbnb o con contratti di locazioni brevi che sono rivolti ai turisti. Ve ne sono veramente tanti soprattutto in centro e in zona universitaria, e l’impatto che hanno sulla città è immediato, evidente. Prima di occupare questo edificio ci siamo interfacciati con tanti studenti e studentesse, lavoratori e lavoratrici che hanno utilizzato per l’appunto la piattaforma Airbnb al fine di soggiornarvi per alcune notti nell’attesa di stabilizzarsi, ma non riuscendovi avrebbero comunque lasciato, di lì a breve, la città. Quindi l’impatto di questo processo che è andato avanti negli ultimi anni lo abbiamo visto sotto diverse prospettive. Difatti, parliamo di turistificazione e possiamo prendere in causa ad esempio l’aeroporto di Bologna e il conseguente aumento dei voli che sicuramente va nella direzione di una città per turisti, che diventa quindi una città per pochi e con ciò meno abitabile. Casa Vacante nasce durante e dopo l’osservazione di questi processi, nell’interfacciarsi con chi li subisce e con l’idea di comprendere cosa si possa costruire in alternativa e che quindi fuoriesca da quel mercato incentrato su piattaforme e sull’espulsione di tanti che cercano di vivere questa città.»

Citando David Harvey, «viviamo in tempi in cui l’ideale dei diritti umani si è posto al centro del dibattito etico e politico. La maggior parte dei concetti più comuni, però, sono basati sull’individualismo e sulla proprietà e, in quanto tali, non fanno nulla per mettere in discussione le logiche egemoniche liberiste e neoliberiste del mercato e i modelli neoliberali di legalità e di azione statale. Viviamo in un mondo in cui il diritto alla proprietà privata e la ricerca del profitto hanno sopraffatto qualsiasi idea concepibile dei diritti umani». È evidente vi sia una responsabilità politica degli enti pubblici nel favorire la speculazione e, al contempo, nel minare il diritto all’abitare disattendendo così alla propria funzione di tutela della collettività e del bene comune. Questi immobili potrebbero invece essere adoperati per il soddisfacimento dei bisogni collettivi. A tal proposito, per voi di Casa Vacante vi è la necessità di mettere in campo delle nuove politiche abitative e per la gestione del patrimonio pubblico?

«Le proposte che vorremmo portare avanti per la città di Bologna vanno nella direzione di un uso condiviso degli spazi urbani. Sono proposte che abbiamo elaborato in diversi momenti: prima dell’occupazione di Casa Vacante e durante le molteplici attività all’interno dello stesso edificio, come l’incontro di venerdì “città pubblica, casa pubblica”. Inoltre, c’è un costante confronto con chi ci intercetta, con chi incontriamo, con chi pensiamo possa offrire spunti interessanti allo scopo di crescere ulteriormente. Sicuramente si daranno anche altri momenti di riflessione e di discussione collettiva. Una proposta di questo tipo deve uscire fuori dalle logiche di mercato e del privato, secondo cui la proprietà è solamente individuale. Inoltre, una regolamentazione degli affitti brevi a livello nazionale sarebbe davvero utile, oltre a delle misure che andrebbero prese anche a livello locale-amministrativo, perché la situazione è davvero urgente. In primo luogo occupare è innegabilmente la risposta a un’esigenza primaria e collettiva. Inoltre, abbiamo voluto rendere Casa Vacante un luogo di sperimentazione per costruire insieme delle proposte alternative al modello attuale. Quindi se queste esigenze ci sono, vuol dire che delle risposte devono arrivare nel breve termine. Non si può più aspettare e un piano di proposte deve mirare ad agire sui problemi dell’abitare sin da subito, per fermare quel meccanismo di espulsione che Bologna sta subendo in maniera molto feroce.»

Attualmente la questione abitativa ricade sul singolo che, intrappolato in un processo di auto-colpevolizzazione, non ne intravede la dimensione sociale e collettiva. Ciò alimenta l’atomizzazione, la spoliazione in atto e l’impossibilità di tradurre tale disagio in lotta collettiva. Assistiamo, quindi, a un impoverimento non solo materiale ma anche spirituale e culturale. Insomma, veniamo privati di risorse, di tempo, di spazi in cui si possa sviluppare una dimensione altra da quella consumistica propria delle città. In che modo Casa Vacante si pone come contro-potere capace di rompere lo status quo?

«Sicuramente quando si parla di spazi urbani condivisi si cerca di costruire una nuova dimensione e portare avanti proposte che siano diametralmente opposte a quelle dinamiche individualizzanti che causano l’abbandono del singolo a se stesso, tirandolo completamente fuori da qualsiasi forma di dimensione collettiva. In primo luogo, questa dimensione collettiva cerchiamo di svilupparla vivendo qui e organizzandoci insieme. Qui a Casa Vacante non siamo mai da soli. Questo posto ce lo siamo presi insieme, lo costruiamo insieme, lo viviamo insieme e con chi ci ha raggiunti durante il percorso, perché ha avuto l’esigenza di una casa in cui stare. Chi è entrato e attraversa questo posto attivamente contribuisce a pensarlo, ripensarlo e a sviluppare proposte insieme a noi e con l’aiuto di chi lo attraversa saltuariamente portando solidarietà. Tutto ciò nell’ottica di portare avanti proposte, spunti che pensiamo possano essere stimolanti per noi e per la città. Un modello abitativo urbano che vada nella direzione di vita condivisa e di abitazioni costruite, gestite e organizzate insieme è sicuramente un orizzonte che ci possiamo dare, per un buono uso di tutti quegli spazi che in questo momento sono o vuoti o pronti a essere venduti a privati che vogliono costruirvi ad esempio studentati di lusso, come sta già succedendo. Sono tanti gli spazi vuoti che in questo momento sono destinati a essere riempiti dal privato e hanno la potenzialità, invece, di essere riempiti da forme di abitazione e organizzazione nuove, di vita collettiva e condivisa.»

Cosa ne pensate della recente occupazione di Beyoo? Secondo voi si pone in continuità all’occupazione di Casa Vacante? Inoltre, ritenete che queste occupazioni siano il segno che il disagio è ormai talmente forte e diffuso da poter porre le basi per un movimento urbano capace di rivendicare una città che sia realmente a misura dei propri residenti e dei loro bisogni? Insomma, qualcosa sta cambiando?

«A nome mio e di Casa Vacante posso dire che leggere la notizia dell’occupazione del Beyoo è stato un dato positivo. Esperienze di questo tipo, per quanto possano differire in parte dall’esperienza di Casa Vacante, è bene che si moltiplichino allo scopo di diffondere modelli di rivendicazione e di abitazione collettiva che vadano a intaccare i processi urbani che Bologna sta subendo, per provare a costruirne di altri. Per cui abbiamo salutato molto felicemente l’occupazione del Beyoo. Speriamo che da questi esperimenti e da altri che potenzialmente possono nascere in città, si dia effettivamente un insieme di modelli che mostrano e rivendicano un altro modo di vivere la città, di gestire la città. Insomma richiediamo di essere ascoltati per iniziare a ripensare diversamente questa città e non solo. È stata una bella notizia.»

Emerge, dunque, l’esigenza di ripensare lo spazio urbano, orientandone la progettazione sui bisogni collettivi dei propri residenti. Il contesto urbano ha la potenzialità di diventare terreno di scontro da parte di tutti coloro che riproducono la città, immettendo risorse economiche e culturali, e che vengono continuamente estromessi dai processi decisionali al suo interno. Esperimenti come la casa-laboratorio Casa Vacante permettono di andare oltre la logica estrattivista dominante e di trasformare l’annichilimento e la rassegnazione causate dalle difficili condizioni di vita nelle metropoli in rabbia e creatività.

Celeste Ferrigno

Nata all'alba del nuovo millennio in una malinconica provincia del Sud, ora studio a Bologna. Il suono delle campane mi accompagna da tutta la vita in questa laica Italia - mi trovo sempre a vivere nei dintorni delle chiese. Mi piace scegliere bene le parole da dire. Anticapitalista e queer.

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