«Faremo a meno della Francia, non dei francesi che sono un popolo stupendo. Evidentemente chi sta governando ha le idee un po’ confuse». Così si esprime Matteo Salvini all’indomani del ritiro dell’ambasciatore francese in Italia avvenuto lo scorso 7 febbraio, l’inizio della “crisi Italia-Francia”. Come sempre, è bene mettere in prospettiva gli eventi degli ultimi giorni per capire meglio come entrambi i governi stiano creando e sfruttando l’occasione di conflitto in vista delle elezioni europee. Per questa ragione pare saggio il rifiuto di entrambe le posizioni di questa polarizzazione nociva. È necessario uscire dalla narrazione della lotta tra popoli al fine di smascherare due governi che stanno portando avanti i loro interessi elettorali sulla pelle della vera politica.
Crisi Italia Francia: dall’immigrazione ai gilet gialli
Una volta alla guida del paese, il governo gialloverde è subito entrato in rotta di collisione con Macron su almeno tre temi fondamentali:
- l’immigrazione, visto il reiterato rifiuto della Francia alla richiesta italiana di aprire i porti alle navi delle ONG, fatto al quale si sono aggiunti gli sconfinamenti territoriali della polizia francese in Italia.
- L’economia, ambito nel quale l’Italia si sente penalizzata rispetto ai cugini d’oltralpe. In particolare non è stato ancora ben digerito l’affare Chantiers de l’Atlantique, i cantieri navali francesi nazionalizzati nell’estate del 2018 dopo un lungo braccio di ferro con Fincantieri, che avrebbe dovuto diventare maggior azionista dell’azienda, salvo poi una retromarcia improvvisa del governo francese che ha destato sospetti di ritorsione politica.
- La Libia, dove l’Italia nutre storici interessi politici ed economici e dove, dopo essere stata bypassata nella decisione sulla fine di Gheddafi nel 2011, vede i suoi interessi sempre più minacciati dalla Francia. Oltre al fatto che la Francia sostiene il generale Haftar, che sta combattendo contro Al Sarraj, interlocutore dell’Italia, l’azienda francese Total sembra danneggiare gli interessi petroliferi di Eni nell’area.
La strategia, o contro-strategia a seconda dei punti di vista, applicata dal governo italiano è chiara: attacco pubblico su tutti i fronti possibili. Le richieste di Lega e 5 Stelle vanno dalla restituzione all’Italia dei terroristi ancora “protetti” sul territorio francese alla costante accusa della politica migratoria francese, senza dimenticare gli attacchi contro la politica estera francese in Africa. Anche il TAV è divenuto tema di scontro tra i due paesi, fatto mai avvenuto prima.
Al di là della catena di eventi, è però evidente che lo “sgarro” rimasto imperdonato dall’Eliseo è l’incontro del ministro Di Maio con un gruppo di Gilet gialli, tra cui Christophe Chalençon che certo non può essere annoverato tra i leader “moderati” come rivendicato dal leader pentastellato. Tutt’altro. Anche perché (e questo punto sembra essere chiaro ancora a pochi) è impossibile separare la frangia “violenta” e “non violenta” all’interno di un movimento nel quale, al di là delle formalità, la violenza dei pochi più o meno volutamente non è condannata dai molti.
In termini di politica estera è accaduto che Luigi Di Maio, oggi rappresentante del governo italiano oltre che capo del partito, è intervenuto nella politica nazionale francese cercando un’alleanza, in vista delle europee, con un movimento extraparlamentare che sta mettendo a ferro e fuoco la Francia da svariati mesi, invocando innanzitutto le dimissioni di Macron. Un’azione (para)diplomatica consapevole? Un’incapacità nel valutare la possibile reazione francese? Non ci è dato saperlo. Colpire direttamente l’orgoglio repubblicano del governo francese in questo modo non significa giocare col fuoco, ma lanciarvisi dentro. Lo storico richiamo a Parigi dell’ambasciatore francese a Roma era, a questo punto, prevedibile.
La posta in gioco sono le europee
Lo scontro attuale tra i due paesi va inserito nel contesto della campagna elettorale in vista elezioni europee del maggio 2019. Con la primavera che si avvicina, l’effetto mediatico di questo scontro ha già preso i contorni di una competizione tra due idee di Europa opposte: gli “europeisti” contro gli “anti-europeisti” — con tutte le virgolette del caso. Non solo: i leader di questa rinnovata ostilità tra i due paesi, Salvini e Macron, si stanno delineando come i due principali portavoce di questa sfida a livello europeo.
Macron conquista un ruolo preponderante in particolare dopo il cedimento elettorale del CDU in Germania nelle elezioni regionali dell’ottobre 2018, a seguito delle quali Angela Merkel lascia la presidenza del partito dopo 18 anni, annunciando che non si ricandiderà come cancelliera alla guida del paese. Con il Regno Unito fuori dall’Unione Europea, Macron si è investito del ruolo di paladino del liberal-progressismo europeo.
Il maggior avversario di Macron è rappresentato l’Europa delle Nazioni e della Libertà, il gruppo politico europeo capeggiato da Matteo Salvini e dal Front National. Marine Le Pen non sarà tra le liste del suo partito alle europee, mentre in zona Visegraad l’ungherese Viktor Orbán sarà candidato nelle file del Partito Popolare Europeo, di centro-destra. Salvini ha dunque tutte le carte in regola per diventare il vero volto dei sovranisti europei. I sondaggi dicono primo il Partito Popolare, anche se in calo, è secondo… O Macron con i liberali dell’ALDE, o Salvini con una coalizione di estrema destra. La sfida prende ulteriormente forma.
Fuori da questa logica
Quello che sembra uno scontro, perlopiù ideologico, confinato a due Stati membri è in realtà molto di più. È una campagna elettorale precoce in un’Europa ancora distratta e affannata da altri temi, primo fra tutti la Brexit — mai così vicina e mai così incerta.
In queste elezioni europee i paesi si troveranno progressivamente catapultati dentro uno scenario politico già fortemente polarizzato e strutturato in cui potranno solo scegliere se andare “con” o “contro” l’Europa. Leggasi: con Salvini o con Macron.
Alla luce di un’analisi meno superficiale, al di là delle nostre appartenenze nazionali sarebbe bene non schierarsi con nessuno dei due governi in questa strumentale guerra di frontiera.
Se da un lato Salvini macina campagna elettorale, dall’altro Macron fa altrettanto. I temi della migrazione, degli sconfinamenti della polizia e dei Gilet gialli sono funzionali a una certa narrazione della sovranità, la vera protagonista di queste europee. L’alternativa a Salvini che chiude i porti è Macron, il quale ha annunciato che in Francia accoglierà dalla nave Sea Watch solo chi bisogno di protezione ed escluderà gli immigrati “economici”. Nel concreto? Invece di 9 persone, ne verranno trasferite solo 7 sul territorio francese. Un cambiamento ovviamente impercettibile, ma che rivela ancora una volta il grado di strumentalizzazione politica raggiunto da ambo le parti. Questa volta sulla pelle di due migranti che probabilmente hanno la “sfortuna”, a questo punto, di non essere nati in paesi totalmente distrutti e di venire catalogati come “economici”. Sono queste le uniche due idee di Europa tra le quali siamo chiamati a scegliere?
L’unica azione concreta e impellente, al momento, consiste nel rifiutare questo binario gioco delle parti calato dall’alto, dove tutti siamo interpellati per applaudire o fischiare, ma nel quale nessuno di noi ha reale possibilità di scelta.
Lorenzo Ghione
Direi che i punti di vista ci sono tutti, sia sugli interessi economici che politici, l’analisi è chiara e coglie bene le problematiche, non semplice dovendo rispettare lo spazio di un articolo su un argomento che richiederebbe un saggio dedicato.
Molto interessante, e ritengo corretta, l’interpretazione della situazione alla luce della prossima tornata elettorale di primavera, nella quale si giocherà molto su ciò che vorremmo fosse la comunità europea. Sempre ammesso che quest’unione abbia un futuro e le forze centrifughe sovraniste non rischino di avere la meglio, speriamo di no….speriamo
Articolo limpido con una frase di chiusura fantastica!