Una Condanna importante per i sovranisti di Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca arriva dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, per non aver aderito alle politiche di redistribuzione dei migranti decise dalle istituzioni europee. Il 2 aprile scorso, infatti, i giudici della Corte di Giustizia hanno emesso la sentenza che condannava il gruppo di Paesi sovranisti di Visegrad per essersi sottratti ai loro obblighi europei in materia di redistribuzione dei migranti.
In base al piano, varato nel 2015, 120 mila richiedenti asilo, in fuga dopo lo scoppio della crisi siriana e arrivati per lo più sulle coste italiane e in Grecia, dovevano essere smistati nei Paesi dell’Unione. Questo sistema prese il nome di “Sistema delle quote”, e prevedeva una redistribuzione dei migranti in base a 4 indici dei Paesi ospitanti: PIL, livello di disoccupazione, popolazione e rifugiati già presenti sul territorio. Fu proprio questo il pomo della discordia che avvelenò i rapporti interni tra i Paesi membri dell’Unione Europea.
Già nel 2017 i Paesi sovranisti avevano fatto ricorso alla Corte di Giustizia per le quote di migranti a loro preposte, ma la stessa respinse il ricorso. Con la sentenza del 2 aprile 2020 la Corte di Giustizia ha però condannato Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca per non aver confermato il meccanismo temporaneo di ricollocazione dei rifugiati, venendo meno agli obblighi comunitari.
«La Polonia solo nel dicembre 2015 ha indicato la disponibilità di ricollocare 100 persone, senza però successivamente realizzare tale impegno. L’Ungheria non ha mai indicato disponibilità per ricollocare persone. Mentre la Repubblica Ceca ha indicato solo nel maggio 2016 la disponibilità ad accogliere 50 persone, ricollocandone effettivamente solo 12 dalla Grecia», si legge in un articolo di Cir Onlus.
Le argomentazioni di difesa degli Stati sovranisti quali Ungheria e Polonia, che hanno sostenuto la legittimità delle loro azioni ricollegandosi all’art 72 del Trattato sul finanziamento dell’Unione Europea (TFUE), sono state prontamente respinte dalla Corte di Giustizia. L’articolo infatti prevede che le disposizioni relative alla politica di asilo non debbano escludere l’esercizio delle responsabilità degli Stati membri per la salvaguardia dell’ordine pubblico e della sicurezza interna. La Corte di Giustizia però ha ritenuto che l’articolo, essendo una norma derogatoria (che fa cioè eccezione rispetto ad una norma generale), debba essere interpretato in maniera restrittiva: «tale articolo non conferisce agli Stati membri il potere di derogare a disposizioni di diritto dell’Unione mediante il mero richiamo agli interessi connessi al mantenimento dell’ordine pubblico e alla salvaguardia della sicurezza interna, ma impone loro di dimostrare la necessità di avvalersi della deroga prevista da detto articolo al fine di esercitare le loro responsabilità in tali materie», prosegue l’articolo. Per poter sostenere che il ricollocamento fosse un effettivo pericolo per la sicurezza interna o l’ordine pubblico i due Stati sovranisti avrebbero dovuto dimostrare che ogni richiedente fosse realmente un pericolo, presupposto o concreto: «Avrebbero dovuto esaminare ogni singola situazione basandosi su elementi concordanti, oggettivi e precisi», si legge.
La Repubblica Ceca, ultimo dei tre Paesi sovranisti condannato, aveva invece difeso le sue ragioni sostenendo il malfunzionamento del sistema di ricollocamento. A tal proposito la Corte di Giustizia ha stabilito che nessuno stato membro può sottrarsi a obblighi comunitari sulla base di valutazioni a senso unico sull’efficacia o meno del meccanismo stesso.
Con questa sentenza la Corte di Giustizia ha accolto i ricorsi per inadempimento presentati dalla Commissione Ue contro i tre Stati membri, stabilendo che questi non possono appellarsi né alle loro responsabilità riguardanti l’ordine pubblico o la salvaguardia della sicurezza interna, né tanto meno al presunto malfunzionamento del meccanismo di ricollocamento, per potersi così sottrarre all’applicazione dello stesso.
I tre Stati sovranisti sono tenuti a conformarsi alla sentenza, e in caso di inadempimento la Commissione potrà proporre un altro ricorso in cui chiedere sanzioni pecuniarie. Una decisione certamente importante, che condanna il comportamento irresponsabile e che deve essere di buon auspicio per ritrovare e confermare i principi di cooperazione e solidarietà che sono le basi ideali, tanto spesso dimenticati, dell’Unione Europea stessa.
Martina Guadalti