Eccessiva in tutto, a volte don chisciottesca nei suoi sforzi per perseguire l’ideale di un mondo più equo, Cuba è tra le nazioni più efficienti in termini di gestione della pandemia Covid-19 e delle campagne vaccinali. Negli ultimi mesi si sta proponendo come modello di efficienza ed egualitarismo nella diffusione del vaccino, all’interno e all’esterno del proprio territorio.
Infatti, grazie allo sviluppo di vaccini proteico a subunità (Abdala, Soberana 02 e Soberana Plus), assimilabile per struttura ai vaccini tradizionali e simile all’americano Novavax, a Cuba l’86% della popolazione risulta completamente immunizzato e circa il 7% della popolazione ha ricevuto almeno due dosi di vaccino. In più, la tecnologia con cui sono stati creati i vaccini cubani permette anche ai più piccoli, il 95% dei bambini di età compresa tra i 2 e i 18 anni, di essere immuni al Sars-Cov2. A suscitare ammirazione sono anche gli effetti di questa campagna vaccinale ad ampio spettro: a Cuba i decessi sono stati quasi azzerati e i contagi sono ridotti a poco più di un centinaio.
Questi dati non stupiscono: Cuba è il paese delle contraddizioni e dei paradossi, dove il settore dell’istruzione e della salute sono efficienti ma le derrate alimentari scarseggiano, ed è difficile garantirne la sicurezza per la popolazione affamata. Nonostante l’embargo statunitense, infatti, nella più recente classifica dell’indice dello sviluppo umano stilata da UNDP Cuba figura al 72° posto su 189 paesi con un punteggio più alto della media dei paesi latino-americani.
Nessuno si salva da solo, però, secondo il titolo di un famoso romanzo di Margaret Mazzantini. In effetti, stando alle affermazioni dell’OMS, per poter uscire dalla pandemia è fondamentale che ogni paese del mondo somministri il vaccino entro la metà di quest’anno ad almeno il 70% della propria popolazione. La variante Omicron è la dimostrazione della velocità con cui il virus muta e si diffonde, superando spesso anche il ritmo al quale procede la vaccinazione su scala mondiale. Naturalmente, la minore immunizzazione dei paesi africani, ad esempio, permetterebbe al virus di mutare in quelle zone e di diffondersi nuovamente nel resto del mondo, creando un effetto boomerang che sarebbe la dimostrazione della fallacia del modello imperialista occidentale.
Il modello cubano in questo senso è virtuoso, ma non egoista. Cuba dimostra coerenza e consapevolezza della necessità di un’azione incisiva su scala mondiale anche con le sue azioni in politica estera: durante una conferenza stampa del 24 gennaio 2021 il governo cubano ha annunciato il suo impegno per raggiungere tre obiettivi fondamentali: vendere il vaccino a prezzi solidali per le nazioni più povere, trasferirne la produzione, dove possibile, direttamente sui territori dei paesi in via di sviluppo e inviare delle brigate mediche a supporto di questi ultimi per distribuire fattivamente le dosi sui vari territori interessati dalle trattative internazionali.
Le ragioni degli impegni cubani sono da ricercare naturalmente nell’attualità: secondo i dati dell’OMS, il prezzo medio pagato dalle nazioni a basso reddito per ogni dose divaccino è pari a 6.88 dollari, contro i 0.80 dollari a dose che prima della pandemia erano il prezzo medio per i vaccini sviluppati contro altre malattie. La situazione in Africa, poi, è ancora più grave. Infatti, nel caso del Sud Africa, ad esempio, le dosi del vaccino Oxford-AstraZeneca sono state pagate ad un prezzo superiore più del doppio rispetto a quello pagato dall’Unione Europea, e le cifre per Bangladesh e Uganda sono ugualmente preoccupanti.
D’altronde, il progetto COVAX facility organizzato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità – ideato per permettere la cooperazione tra paesi più e meno sviluppati e distribuire egualitariamente il vaccino nel mondo – si è dimostrato fallimentare, o quanto meno insufficiente a rispondere all’apartheid vaccinale. È per questo che la risposta di Cuba ha un peso molto forte, considerata anche la possibilità, per il vaccino proteico cubano, di poter essere conservato anche a temperature non eccessivamente basse rispetto al resto dei vaccini, un vantaggio significativo che ne faciliterebbe la diffusione nel resto del mondo.
Il modello di Cuba sul vaccino ha quindi le carte in regola per evidenziare le carenze del sistema di gestione occidentale delle campagne di immunizzazione della popolazione. La risposta, per una volta, sembra arrivare da un paese diverso dagli Stati Uniti e costituire comunque un’alternativa valida ed efficiente. L’Occidente ha solo da imparare.
Giulia Imbimbo