Chiara Ingrao
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Nel 2007 esce per Baldini Castoldi Dalai la prima edizione del romanzo “Il resto è silenzio”, frutto della penna pungente di Chiara Ingrao. Classe ’49, Chiara Ingrao è una scrittrice italiana, attualmente impegnata soprattutto come animatrice culturale nelle scuole. È stata ed è ancora oggi costantemente impegnata nella politica e nel sociale, seguendo l’esempio dei suoi genitori, l’ex Presidente della Camera dei deputati Pietro Ingrao e l’attivista Laura Lombardo Radice, della quale si può leggere in “Soltanto una vita”, una biografia scritta a quattro mani. Fin da giovane ha preso parte ai movimenti studenteschi, femministi e per la pace, lo stesso romanzo è il risultato del periodo di attivismo, di continui viaggi e marce per la pace nei Balcani.

“Il resto è silenzio”, esordio narrativo della scrittrice, è un libro sulla guerra, sulle identità in frantumi, sui rapporti sociali, un tuffo nella psiche dell’uomo comune nel momento in cui gli si catapulta dinanzi un evento estraneo, o meglio, straniero, ma è anche una rilettura del mito di Antigone da un nuovo punto di vista. Gran parte della forza di questo romanzo risiede nel suo essere straordinariamente attuale ancora oggi, dopo 15 anni. Nonostante le vicende siano ambientate principalmente ai tempi della guerra in Bosnia-Erzegovina e nonostante la (Ex-)Jugoslavia non esista più, le problematiche affrontate sono, purtroppo, più vicine che mai.

La lacerante storia di Musnida e Slavenska e dei loro fratelli, uno serbo e uno musulmano, con la loro famiglia multietnica, non è poi diversa da quella di qualsiasi ucraina e ucraino che oggi affronta la guerra con i “fratelli russi”.

Copertina della prima edizione del romanzo di Chiara Ingrao “Il resto è silenzio”, Baldini Castoldi Dalai, 2007. Foto di Mario Boccia scattata durante l’assedio a Sarajevo. Fonte: Feltrinelli.it

Il resto è silenzio: la trama

“Il resto è silenzio” è la storia di tre coppie di sorelle, le cui vicende si intrecciano inconsapevolmente: da un lato Sara e Roberta nella Roma dei primi anni 2000, dall’altro Musnida e Slavenska nella Sarajevo assediata, e infine Ismene e Antigone del Mito.

Servendosi di una sintassi veloce, immediata, e uno stile pungente e accattivante, l’autrice prende per mano il lettore e lo porta all’interno della psiche della voce narrante, Sara, un’interprete che vive ormai da sola nel “suo” appartamento a seguito del tradimento del marito. Muovendosi all’interno dei pensieri di Sara, che oscillano tra riflessioni e ricordi di una decina d’anni prima, l’autrice racconta in retrospettiva dell’arrivo a Roma di Musnida. Musnida è una amica di vecchia data di Sara che ritorna all’improvviso nella sua vita con una brusca chiamata nel pieno di una pennichella pomeridiana e che, con il suo pesante e rumoroso silenzio non ne è più uscita, ritornando continuamente nella mente di Sara.

Ospitando a casa un’amica, una collega, una straniera, una profuga, che con il suo silenzio comunica quelle che sono le sofferenze e le lacerazioni di un’identità che ha scelto di sopravvivere, piuttosto che sacrificarsi, e deve fare i conti con ciò che resta, Sara ha sperimentato in prima persona quanto può far riflettere, ma anche ferire il silenzio. Musnida scappa dalla Sarajevo assediata, nella quale hanno perso la vita i suoi fratelli e sua sorella, l’Antigone di Sarajevo, emblema di una guerra etnica. Con il suo fare tranquillo e silenzioso, la ragazza porta con sé una valigia troppo ben ordinata e si stabilisce per del tempo non definito a casa di Sara, conosciuta un’estate di molti anni prima. «Quella lì», come diceva la sorella, l’amica «di laggiù», di quella Sarajevo che sembrava così lontana pur essendo a due passi dall’Italia, suscita compassione in chiunque la incontri e diventa inevitabilmente la profuga, la straniera, per la sorella e le colleghe di Sara. La stessa Sara si chiede più volte come mai abbia reagito così di istinto e l’abbia accolta in casa, e non riesce a consolarla quando sembra stia per piangere, non riesce a parlarle, né a chiederle qualsiasi cosa in merito alla guerra, prova invece addirittura fastidio e ammette a se stessa di non riuscire a tollerare quei silenzi, quel ticchettio dei tasti del PC, quei conati dietro la porta chiusa, quel vestito ordinatamente appeso al mobile. «In silenzio, lei si è fatta spazio nella mia vita, in punta di piedi. […] Mi ha dato fastidio, non so spiegare perché».

Eppure, ad essere straniero, estraneo, nella vita di Sara non è tanto la silenziosa Musnida, quanto il suo vissuto, il suo pesante bagaglio che si trascina silenziosamente. Dinanzi a una persona con una storia alle spalle come quella della vecchia amica, Sara non sa come comportarsi, non sa come reagire, e si rende conto della distanza, non di certo geografica, che c’è tra le due. Lo straniero, fin dagli albori della civiltà, è sempre stato colui che fa paura, colui che è estraneo alla casa, agli ambienti domestici e ai propri spazi, del quale il singolo prova timore nel momento in cui viene a contatto con esso. Ma nel momento in cui ci si incontra/scontra con l’Altro, come dimostrano i pensieri di Sara, ci si incontra/scontra con sé stessi, arrivando a conoscersi in profondità, mostrando anche i propri lati più oscuri, come la sensazione di fastidio e l’intolleranza che Sara sa di provare ma che non ammetterebbe a voce alta.

L’ingresso di Musnida nella vita di Sara porta a galla una serie di conflitti irrisolti, mentre le barriere che i personaggi costruiscono chiudendo le porte frantumano le loro identità. La paura di lasciar parlare e soprattutto di ascoltare Musnida, si muta in paura di ascoltare sé stessa e di dare voce a pensieri che non sarebbero accettati dalla società. Attraverso la voce narrante, l’autrice scavalca dei muri sociali, abbattendo il falso perbenismo e mostrando i pensieri che roteano inconsciamente nella mente di ognuno di noi, mostrando che è umano sbagliare e cadere.

Rileggere il mito per leggere il presente

Per indagare i pensieri dell’uomo “comune” di oggi, e come tanti prima di lei, Chiara Ingrao sceglie il mito come mezzo comunicativo, costruendo un parallelismo tra la defunta sorella di Musnida, Slavenska, e la figura di Antigone: come Antigone ha scelto di seppellire il fratello schieratosi con gli aggressori, consapevole di star andando incontro alla morte, così Slavenska, che per i giornali dell’epoca era l’Antigone di Sarajevo, nella guerra nella Ex-Jugoslavia.

Tuttavia, Chiara Ingrao non si ferma alla costruzione di un parallelismo tra le due figure. L’autrice rilegge il Mito da una prospettiva diversa, non quello della sorella eroica, ma quella della sorella “sbiadita”, Ismene, che avrebbe vigliaccamente scelto di continuare la sua vita in un mondo in cui sembra che alle donne non spetti altro che “sopravvivere”.

La storia di Ismene diventa l’archetipo di un’esistenza complessa, un’identità che deve fare i conti con il proprio passato, con gli scheletri che Musnida porta nella valigia ordinata, ma soprattutto con il presente fatto di macerie e pregiudizi. Ismene-Musnida non si oppone ad Antigone-Slavenska, è piuttosto la sua versione non eroica, né mitica, ma decisamente più umana.

guerra Ucraina-Russia, foto: Pixabay

Perché (ri)leggere Il resto è silenzio dopo 15 anni dalla sua prima pubblicazione?

Le tematiche principali affrontate nel romanzo sono, purtroppo, sempre attuali: innanzitutto il tema della guerra, che fa da sfondo ad una serie di riflessioni ad esso connesso, toccando temi come quello dell’integrazione, dell’immigrazione e, soprattutto, la questione circa la propria identità.

Il silenzio, Leitmotiv del romanzo, è il filo conduttore che lega la storia narrata all’attualità. Si tratta di un silenzio assordante proprio come quello di oggi riguardo la guerra nel cuore d’Europa che circa sette mesi fa ha sconvolto tutti, e come quello riguardante le ancora dolorosamente attuali guerre in ogni angolo del mondo.

Secondo i dati dell’organizzazione Armed conflict location & event data project (Acled), ad oggi nel mondo sono in atto ben 59 guerre! Molte di queste sono note per essere particolarmente longeve, come quelle in Libia o in Afghanistan, di molte altre probabilmente non se ne è mai sentito parlare. La stessa guerra in Ucraina, che sette mesi fa sembrava essere argomento di punta di ogni testata giornalistica, nonché argomento prediletto per scambiare due chiacchiere dal parrucchiere o in posta, oggi viene menzionata solamente per futili motivi, come il carovita ad essa connesso.

E se nemmeno l’attuale guerra in Ucraina risveglia l’interesse della maggioranza dei lettori, perché si dovrebbe leggere un libro di 15 anni fa su una guerra di cui molti (giovani) lettori forse non hanno neppure mai sentito parlare? La risposta a questa domanda ce la dà l’autrice stessa in un’intervista del 2008 alla presentazione del libro tradotto in bosniaco. Nel momento in cui le viene chiesto se non fosse troppo tardi per parlare della guerra in Bosnia Chiara Igraro risponde:

«Forse sì, è troppo tardi, io sono molto angosciata da quello che vedo succedere in Italia, in Europa e nel mondo, però penso che non ci sia altra scelta se non fare come se non fosse troppo tardi, perché comunque abbiamo bisogno di costruire dei germi di resistenza».

Dopo l’assedio (intervista su “Osservatorio Balcani”)
20.10.2008. Da Sarajevo, scrive Andrea Rossini

E forse è così, con la guerra in Bosnia si è lasciata entrare la “cultura di guerra” in casa nostra, o forse questa cultura non ha mai lasciato l’animo degli uomini. Descrivendo la storia di una profuga attraverso gli occhi di Sara, Chiara Ingrao è riuscita con la sua penna schietta e a tratti pungente a rappresentare ognuno di noi: siamo tutti noi una Sara che prova fastidio quando un estraneo si insinua in casa portando la propria valigia ben ordinata e il pesante fardello dal proprio paese, inducendo il lettore a riflettere su sé stesso e gli altri, quasi a consigliare una strada per abbattere i muri tra gli individui. Si potrebbe azzardare un ulteriore parallelismo, quello tra l’Antigone di Sarajevo e i (troppi) fratelli e/o sorelle costrette a scegliere tra l’abbandonare i corpi dei propri cari o a seppellirli alla meno peggio. Secondo un articolo del The Guardian, solo nella città di Mariupol sarebbero circa 22mila i corpi delle persone cadute durante il solo primo mese di guerra, e molti sono coloro che sono ritornati successivamente in Ucraina per riconoscere i cadaveri o per seppellirli vicino le proprie case. Scene drammatiche che stanno colorando di rosso anche questo decennio. Ancora una volta, si tratta di una guerra tra fratelli, come lo era stata quella in Bosnia anni fa, in quanto uno degli aggettivi più utilizzato nei libri di storia e civiltà per descrivere il popolo russo è multietnico. Nonostante ciò, da sette mesi ormai va avanti una guerra tra fratelli che non sembra dare cenni di fine.

E mentre sui giornali si legge sempre meno al riguardo, la letteratura non smette di fornire spunti di riflessione. Sembrerebbe che in 15 anni poco o niente sia cambiato nel mondo e, in accordo con l’autrice, forse è vero che «Non cambierà mai nulla, se non cambia il nostro modo di vedere le cose».

Nunzia Tortorella

Nunzia Tortorella
Avida lettrice fin dalla tenera età e appassionata di ogni manifestazione artistica. Ho studiato Letterature e culture comparate all'università di Napoli L'Orientale, scegliendo come lingue di studio il tedesco e il russo, con lo scopo di ampliare il mio bagaglio di conoscenze e i miei orizzonti attraverso l'incontro di culture diverse. Crescendo, ho fatto della scrittura il mio jet privato.

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