Venti settembre 2023, ore 6.19: «Sono arrivati, chi può venga qui». È l’ultima disperata richiesta d’aiuto degli attivisti presenti al rifugio Cuori Liberi di Zinasco, piccola frazione del comune di Sairano in provincia di Pavia. Un Santuario nato per dar voce e dignità non solo a cani e gatti, ma anche e soprattutto ai cosiddetti animali da “macello”, vittime di un carneficina quotidiana a cui ci siamo purtroppo tristemente abituati e contro il quale facciamo poco, quasi nulla. Nell’oasi felice di Zinasco, come in molti altri Santuari presenti in Italia, mucche, maiali, pecore e altri animali convivono pacificamente dopo essere stati salvati da morte certa. Una felicità spezzata da un blitz delle forze dell’ordine che, con non poca violenza, la mattina del 20 settembre hanno fatto irruzione nel rifugio mettendo fine alla vita di dieci animali da affezione. Per comprendere quel che è successo, abbiamo intervistato Sara d’Angelo, portavoce della Rete dei Santuari di Animali Liberi in Italia, un’aggregazione di progetti che hanno come obiettivo comune quello di contribuire ad un miglioramento dell’attuale relazione tra gli essere umani e gli animali.
Buongiorno Sara. Innanzitutto tutta la redazione di Libero Pensiero intende esprimere piena solidarietà per gli atroci episodi avvenuti Santuario di Zinasco. Iniziamo proprio da qui: cos’è un Santuario? Quali sono le principali azioni svolte in questi spazi?
«Il Santuario è un rifugio che ospita i cosiddetti animali “da reddito” senza alcuna finalità riproduttiva quindi al di fuori della filiera produttiva. Recentemente grazie a un decreto ministeriale i Santuari sono stati riconosciuti come rifugi permanenti. Prima di tale decreto questi spazi erano considerati alla pari di veri e propri allevamenti. Da marzo del 2023 gli ospiti all’interno dei rifugi e Santuari sono stati definiti animali non DPA, ovvero non destinabili per l’alimentazione umana. C’è stato quindi un capovolgimento totale di prospettiva, un riconoscimento straordinario che però durante l’emergenza sanitaria riguardante la peste suina è crollato al suolo e si è sbriciolato. Nonostante il decreto, l’emergenza sanitaria ha avuto più importanza di qualunque diritto conquistato con tanta fatica negli ultimi anni.
Nei Santuari si cerca di mettere in salvo animali sottratti alla filiera produttiva, sottratti ai maltrattamenti e allo sfruttamento. Questi animali vengono ospitati e curati. Si trasformano così da animali da reddito a animali di affezione. Animali che per millenni sono stati sfruttai dall’uomo, da noi si riposano e sono gli umani a lavorare per loro. La seconda finalità dei rifugi è la comunicazione. I santuari sono aperti al pubblico. Ricevono scolaresche e gruppi di visitatori ai quali noi cerchiamo di mostrare che un altro modo di relazionarsi col resto degli esseri viventi non solo è possibile, ma anche necessario.»
A seguito di un’ordinanza volta al contenimento della peste suina, la mattina del 20 settembre le forze dell’ordine e i veterinari del ATS Lombardia hanno fatto irruzione nel rifugio Cuori Liberi con l’intento di abbattere i maiali lì ospitati. Cosa è successo in precedenza?
«All’inizio di settembre due suini presenti nel rifugio Cuori Liberi sono morti improvvisamente. Come da prassi, soprattutto dopo la comparsa in Italia della peste suina africana, è stata contattata l’ATS la quale ha prelevato un campione della milza del suino deceduto e la analizza presso l’istituto zooprofilattico. Dopo un paio di giorni ci è arrivata la comunicazione secondo cui due suini erano risultati positivi alla peste suina. Da lì è stata emanata un’ordinanza che disponeva il sequestro del Santuario e l’abbattimento di tutti i suini presenti all’interno del rifugio. Questo accade poiché la normativa sanitaria prevede che nel caso di focolai di alcune patologie particolarmente virulente si applichi un provvedimento barbaro che si chiama stamping-out cioè l’abbattimento obbligatorio di tutti i soggetti, anche quelli non malati. A causa di questa misura da metà agosto a oggi sono stati sterminati più di 34mila maiali nella sola zona di Pavia. Sono stati individuati otto focolai di peste suina africana, presumibilmente diffusasi a causa di una ritardata denuncia di un allevatore, il quale ha omesso di denunciare la morte di 400 maiali per peste. L’allevatore ha comunicato l’accaduto all’ATS solo dopo aver inviato i propri maiali in altri macelli e allevamenti. Il rifugio Cuori Liberi dista soltanto 3 chilometri da questo allevamento. In tali condizioni il contagio era inevitabile.
Abbiamo subito chiesto che ritirassero l’ordinanza di abbattimento e la trasformassero in un’ordinanza di sequestro, rafforzando tutte le misure di biosicurezza. Abbiamo proposto, anche per una questione scientifica, di osservare l’andamento della malattia dal punto di vista epidemiologico in un contesto totalmente differente dagli allevamenti, in cui non c’è una movimentazione di animali, dove tutto è chiuso. Abbiamo diffidato chi poteva decidere diversamente, chiedendo di applicare delle deroghe. Abbiamo fatto ricorso al Tar e al Consiglio di Stato. Entrambi hanno rigettato la sospensiva. Il 5 ottobre ci sarà l’udienza al Tar. Peccato che i maiali sono morti poiché l’ordinanza è già stata eseguita. In assenza di dialogo, abbiamo lanciato un presidio permanente. Dalle iniziali dieci persone siamo arrivati in pochi giorni ad essere più di cento. Per quattordici giorni abbiamo protetto il Santuario senza sosta, sperando in un cambio di direzione delle autorità preposte. Venerdì 15 settembre i veterinari dell’ATS accompagnati dalla Digos si sono presentati per eseguire l’ordinanza di abbattimento. Siamo riusciti a respingerli in maniera del tutto pacifica. Ci chiedevano l’impossibile. Ci chiedevano di farli entrare per ammazzare i nostri animali.»
Quali azioni sono state intraprese riguardo l’isolamento degli animali? Erano tutti malati? C’era un’alternativa all’abbattimento? Avete chiesto il parere e l’aiuto di qualche esperto in materia di biosicurezza?
«I suini erano divisi in due zone distinte. Inizialmente credevamo che l’infezione fosse solo in una zona. Abbiamo così cercato di contenerlo, ma non è stato possibile. Si è tentato di istituire un protocollo di supporto per aiutare i soggetti a contrastare il virus, con tutta una serie di terapie studiate insieme ai veterinari che si sono messi a disposizione. I volontari e gli attivisti hanno erogato le terapie. Abbiamo anche una collaborazione con una ricercatrice la quale ci ha aiutato ad applicare un protocollo sperimentale che all’estero ha dato degli ottimi risultati. Le autorità non si sono fermate neanche davanti a questo e non ci hanno permesso di capire l’effettiva efficacia di questo protocollo. Di 38 maiali, 20 sono morti. Gli altri, sani seppur infettati, sono stati uccisi dall’uomo.»
Cosa è accaduto in seguito?
«La mattina del 20 settembre noi avevamo intuito che le autorità preposte sarebbero tornate e quindi dalle 04.30 del mattino eravamo tutti all’interno e fuori al Santuario. Purtroppo, nonostante la massiccia presenza di volontari e attivisti, è arrivato un dispiegamento di forze sproporzionato che non ha voluto dialogare minimamente. Sono entrati picchiando le persone che erano fuori, prendendoli a pugni e a calci. Hanno tagliato i tubi con cui eravamo allucchettati con un flex mentre avevamo ancora le mani e le braccia dentro, rischiando quindi di provocare gravi danni. Hanno divelto cancelli, tirato giù le recinzioni rischiando anche di far uscire gli animali infetti e non. In seguito sono entrati in una zona in cui non non eravamo mai entrati a causa dell’alto tasso di infettività della peste suina.
Con estrema violenza un centinaio di persone in tenuta antisommossa sono entrati nella zona in cui c’erano i maiali infetti. Ridevano di fronte alle nostre richieste. Lì c’è stata la fine di tutte le cose in cui una persona civile crede. Lì, in quel momento, è stata la morte della fiducia nelle istituzioni. Sono stati calpestati i diritti civili e umani dei volontari. Siamo stati picchiati e sono state distrutte molte strutture del Santuario. Infine sono stati uccisi gli animali. Non è stato neanche permesso ai proprietari di assistere all’eutanasia di animali che per legge sono animali di affezione. Non è stato fatto entrare il veterinario di parte, che avrebbe dovuto controllare che le uccisioni avvenissero in modo corretto ed etico. Questo ci è stato prima concesso, poi negato.
Purtroppo l’eutanasia degli animali da reddito non è molto praticata. Vengono uccisi nei modi peggiori. L’ATS credeva che l’eutanasia consistesse nell’iniettare un veleno letale che invece deve essere preceduta da un’anestesia. Hanno ordinato quindi l’anestetico, sono arrivati con la Polizia provinciale, con i fucili che dovevano sparare i dardi anestetici e hanno ucciso uno dopo l’altro degli animali che loro definivano agonizzanti, ma che invece, come si evince dalle immagini che abbiamo registrato, erano in piedi, cercavano di mangiare. Con i droni abbiamo visto i maiali impauriti che cercavano di scappare, di mettersi al riparo, di proteggersi gli uni con gli altri. Sono stati uccisi senza pietà. I manifestanti uno dopo l’altro sono stati trascinati a terra, presi a calci e portati via. Molti di noi in questura, altri al pronto soccorso per le ferite riportate.»
È risaputo che la peste suina non rientra nelle malattie zoonotiche, non può quindi attaccare l’uomo. Qual è quindi secondo lei la motivazione principale alla base di questo massacro?
«La peste suina africana non è una zoonosi, ma una malattia commerciale. Chi si intende tutelare non sono i suini, che possono essere infettati perché altamente contagiosa, ma gli interessi e i portafogli di quegli allevatori che vivono sullo sfruttamento, la vendita, la macellazione dei suini imprigionati negli allevamenti. È solo un interesse economico e commerciale. Le istituzione non sono preoccupate per i suini, ma per l’eventuale mancato guadagno. Sono subito pronte a dare ristori. L’allevamento suinicolo italiano causa maltrattamento, inquinamento, non è sostenibile e vive grazie a fondi pubblici, di sovvenzioni, di soldi di contribuenti come noi. Tutto questo è inaccettabile.»
Oltre ai comprovati danni ambientali, la difesa degli interessi economici dell’industria zootecnica italiana alimenta la propagazione di tale malattia. Gli allevamenti intensivi rappresentano un hub più che adatto per la diffusione della peste suina. Eppure le azioni utili alla riduzione di questi allevamenti sono praticamente inesistenti. Come denunciato dalla LAV tutto ciò rappresenta un controsenso: «si uccidono animali per allevarne altri che verranno uccisi comunque, per finire nel piatto di qualcuno. La gestione è sempre la stessa, uccidere tutti per rimpiazzarli con altri e proseguire nel folle cammino di sfruttamento, con utilizzo copioso di fondi pubblici». Esiste una soluzione?
«Bisogna capire che non è più un comparto sostenibile. Bisogna capire che si può e si deve cambiare. Occorre riconvertire gli allevamenti e col tempo chiuderli.»
Avete paura del fatto che gli eventi del rifugio Cuori Liberi possano rappresentare un precedente pericoloso? E può al contempo questa triste quanto grave vicenda dare un’ulteriore spinta alla causa animalista e antispecista?
«Si, abbiamo molta paura. I motivi per cui abbiamo fatto il presidio permanente erano due. Il primo: difendere, tutelare, metterci con i nostri corpi tra l’oppressore e l’oppresso, i suini che non erano stati uccisi dalla peste. Il secondo, non meno importante: evitare che ci fosse un precedente. Dopo essere entrati in un Santuario c’è la possibilità che irrompano in altri rifugi. Quando ci sarà una malattia pericolosa per i cani entreranno in queste aree. Questo è accaduto e questo è ciò di cui abbiamo ancora più paura. Dobbiamo evitarlo in tutti i modi.
Sicuramente questa vicenda che ci ha scioccato tutti potrà anche darci la forza di una reazione importante da parte di tutto il movimento. Noi lo speriamo. Stiamo lanciando un appuntamento in piazza a Milano previsto per sabato 7 ottobre successivamente alla decisione del Tar. Chiederemo delle risposte. Chiederemo di ottenere protocolli sanitari differenti per i Santuari.»
Cosa possiamo fare per aiutare i Santuari presenti in Italia?
«Per aiutare i Santuari ci occorro rinforzi dal punto di vista concreto, abbiamo bisogno di attivisti e volontari che sono importantissimi per questi luoghi che, al contrario degli allevamenti, stanno in piedi senza sovvenzioni pubbliche. Abbiamo bisogno anche di donazioni, adozioni a distanza, aiuti dal punto di vista economico. Vi invitiamo tutti in piazza a Milano. Occorre dare una risposta precisa, concreta e ferma a quello che è accaduto e far capire che non potrà e non dovrà accadere mai più. Vogliamo che i responsabili paghino per quanto accaduto.»
La violenza con la quale si è svolta la triste e grave vicenda nel rifugio Cuori Liberi è indicativa del tempo in cui viviamo. L’immedesimazione tra esseri umani sembra essere cosa sempre più rara. Ancora più scarsa è l’empatia tra l’animale umano (si, occorre ancora una volta ricordare che l’Homo Sapiens è anch’esso un animale) e tutti gli altri animali. Da ciò che è avvenuto a Zinasco non impariamo nulla di nuovo. Gli interessi economici dell’industria zootecnica (come quelli delle altre industrie) rappresentano le divinità del nostro secolo. In nome dell’economia tutto sembra essere diventato lecito: sofferenza animale, distruzione ambientale, soppressione dei diritti umani.
Sugli eventi accaduti la mattina del 20 settembre si è espresso anche l’attore premio Oscar Joaquin Phoenix, il quale ha condiviso un pensiero sui social: «Quello che è successo oggi al @progettocuoriliberi_odv è vergognoso e terrificante. Tutti i maiali del santuario italiano sono stati uccisi dallo Stato e dalle autorità, i veterinari che dovrebbero salvare vite umane li hanno portati via senza compassione. È un giorno di lutto e di tristezza, questo atto disumano non deve rimanere in silenzio, condividetelo! Decine di furgoni della polizia per animali innocenti che avevano case e famiglie, che erano curati e amati. Il mio pieno sostegno a tutti coloro che per due settimane hanno difeso la vita e la libertà. Siamo con tutti voi».
Anche Sergio Costa, ex ministro dell’Ambiente, ha denunciato l’accaduto: «Quello che è successo all’interno del rifugio Cuori liberi non è umano. Forze dell’ordine che picchiano cittadini che non vogliono che siano uccisi degli animali: suini non destinati all’alimentazione. Presenterò un’interrogazione per avere chiarimenti sulla vicenda». Ci uniamo a Joaquin Phoenix e a Sergio Costa nell’esprimere piena solidarietà agli attivisti e alle attiviste presenti il venti settembre al rifugio Cuori Liberi.
Marco Pisano (G)