Sono trascorsi cinquantadue anni dalla pubblicazione di uno dei testi più noti di Don Lorenzo Milani “Lettera ad una professoressa”, un opuscolo che rappresentò il manifesto di una rivoluzione pedagogica e sociale.
Pensare che possa essere letto dagli occhi di questa nuova generazione risulta davvero difficile; c’è la possibilità che un testo come “Lettera ad una professoressa” possa essere equiparato ad una società liquida e digitale come la nostra. Eppure, nonostante le epoche diverse, nonostante non si parli attualmente di una società post-bellica, i punti che accomunano la denuncia posta da Don Milani e la realtà della “buona scuola” attuale sono percettibili. Don Milani ne fece il manifesto non solo di una rivoluzione pedagogica ma anche sociale: guardava ad una scuola possibile, fruibile ed accessibile a tutti, dai primi ai secondi, dove i primi erano i figli della borghesia ed i secondi i figli degli operai, dei contadini. Se da un punto di vista pedagogico vi erano le basi verso un’eguaglianza educativa, da un punto di vista sociale era una chiara denuncia al classismo cattolico governativo di quegli anni.
Il testo di Don Milani fu edito nel 1967: sono anni delicati, di transizione e di rivendicazioni sociali, di lotte per l’uguaglianza, per la parità di genere, ma anche di tanta arretratezza economica e povertà: difatti “Lettera ad una professoressa” venne scritto da Don Milani e dai ragazzi della scuola di Barbiana, la quale era situata in un posto isolato dell’Appennino afflitto da tanta povertà, in mancanza di luce e di acqua. Si tratta di un testo di prospettiva che si rivolge in primis alle disparità nella scuola dell’obbligo, e ne diviene anche un invito ad organizzarsi e dunque rivolto anche a coloro che a causa della classe sociale a cui appartengono, mai giungeranno oltre la scuola dell’obbligo (in riferimento a quell’epoca). Un piccolo opuscolo che ancora oggi divide, fa litigare, instilla riforme, progetti e desideri: un opuscolo che per alcuni è ancora attuale.
Ieri i figli degli operai e dei contadini,” i secondi”, come li chiama Don Milani; oggi gli immigrati, i disoccupati, le fasce deboli in uno Stato sociale in cui vige la precarietà dei diritti. Se per qualcuno il cuore pulsante di “Lettera ad un professoressa” è da ricercare nella non bocciatura o magari nella disobbedienza, per qualcun’altro, forse, è da ricercare nella lotta incessante abbracciata anche dai movimenti studenteschi per dare la parola a tutti perché la lingua non è statica, non è definita o definibile, ma si modifica, si aggiorna e si alimenta della diversità. I maestri, secondo Don Milani, dovrebbero mostrare questa diversità, alimentarla con elasticità. La nostra, come all’epoca, è una scuola cieca.
Oggigiorno la scuola è il riflesso di una società consumistica, imperniata dalla cultura dominante e insita di valori liberali in cui non c’è regola e disciplina alla concorrenza; il più forte, in parole semplici, ha potere. Una società che ha trasformato la scuola in un’azienda, dove vige esclusivamente il principio della meritocrazia. Un ossimoro per il secondo luogo di formazione e crescita dei futuri uomini – cittadini: una scuola che non prende in considerazione le soggettività ed una società che non guarda al dopo scuola, sono, entrambi ambiti destinati a fallire. Sono modelli standard che non prendono in considerazione le variabili, i confini, le caratteristiche “dell’oggetto” a cui fanno riferimento. Il problema che si evince oggi e che fu, inoltre, espresso dai giovani di Barbiana, è che si confonde il diritto allo studio con il diritto alla laurea.
Certo, in “Lettera ad una professoressa” Don Milani si rivolgeva alla scuola dell’obbligo, ma nel XXI secolo amici, figli, nipoti, stanno assaggiando la scelta di una scuola o di una qualsiasi formazione volta esclusivamente alla meritocrazia, ed espressione di classismo ed esclusione; tasse da pagare particolarmente elevate nonostante si parli di scuole o di università pubbliche, privilegi sociali, libri di testo ad un prezzo elevato, disorganizzazione, diritto allo studio negato: tutti sintomi di una società che ha scelto da che parte stare, dalla parte di una cattiva scuola, esito di una cattiva società. La scuola deve premiare, ma non deve pensare esclusivamente a coloro che ritiene “i migliori”.
La scuola non può ridursi ad un confronto asettico, semplicemente nozionistico, non può ridursi alle sole otto ore scolastiche senza prendere in considerazione il dopo scuola. La scuola deve premiare, ma deve saper attendere, non i migliori, ma coloro che restano indietro. La scuola, come una madre, deve avere pazienza: in ogni bambino c’è un’incognita che può e deve fruttare secondo le proprie capacità, non migliori o peggiori, ma personali, esclusive. La maestra dovrà vivere per lungo tempo in una prossimità estranea, ma che presto riuscirà a conoscere; proprio come una madre nei confronti del figlio, concetto chiaramente espresso da Massimo Recalcati nel libro “Le mani della madre”.
Un uomo andato via prematuramente, molti i dubbi e pochi i punti fermi, ma …
Don Milani, in realtà, non era un uomo rigido e chiuso nei suoi virtuosismi mentali; non additava la borghesia perché banalmente ricca, non ha mai dato adito ad una tifoseria spicciola in contrapposizione ad una istituzione – evidentemente – disumana. Egli, ebbe addirittura il coraggio di scrivere che l’obbedienza non fosse più una virtù, andando a scalfire, invece, la rigidità di quel sistema.Per chi lo ha letto con attenzione, anche a distanza di tempo, si evince che Don Milani volesse invogliare alla critica, alla riflessione, a ciò che Socrate chiamava “l’arte della maieutica”. Insomma, Don Milani voleva che i primi e i secondi fossero messi nelle stesse condizioni per diventare responsabili di tutto:
“Dovevo ben insegnare come il cittadino reagisce al”’ingiustizia. Come ha libertà di parola e di stampa. Come il cristiano reagisce anche al sacerdote e perfino al vescovo che erra. Come ognuno deve sentirsi responsabile di tutto. Su una parete della nostra scuola c’è scritto grande I care. E il motto intraducibile dei giovani americani migliori. “Me ne importa, mi sta a cuore”. E il contrario esatto del motto fascista ‘Me ne frego”. (Lettera ai giudici – Don Milani).
Il manifesto di Don Milani, dunque, non si limita solo ad una denuncia pedagogica, bensì di ampio respiro sociale e politico. Un tessuto politico ancora incerto, instabile e discriminatorio: ci sono diritti e bisogni primari, a cui tutti dovrebbero avere accesso, al di là del valore economico, è una questione di dignità umana che non può subire ed essere vincolata ad una logica di mercato; i diritti esistono per diritto e non per meritocrazia, Don Milani fu previdente: ecco il perché della sua attualità. Senza una scuola che non allena al pensiero critico, alla scelta, alla diversità nonché alla sana e costruttiva ribellione, c’è il rischio che si vadano a minare i sistemi democratici o viceversa: le pseudo democrazie creano fantasmi e dunque pseudo scuole.
Bruna Di Dio