Il momento è ormai giunto. La Cop26, la ventiseiesima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, rappresenta un evento dal quale dipenderanno le sorti della società umana. Due sole le strade percorribili: concordati efficaci necessari a rispettare gli Accordi di Parigi o crollo climatico. Mantenere l’aumento della temperatura globale sotto gli 1,5°C non è infatti una possibilità tra le tante, ma una precisa responsabilità dei Governi di tutto il mondo, un traguardo da non mancare, pena conseguenze ambientali sempre più gravi. Nella Cop26 risiede la speranza delle nuove generazioni che manifestano da oltre due anni, pretendendo dai decisori politici azioni radicali che garantiscano il diritto a un futuro vivibile. Una fiducia che, stando ai colloqui che hanno preceduto la Cop26, si scopre essere mal risposta. Insomma, ancor prima dell’inizio degli incontri fondamentali alla lotta alla crisi climatica e ambientale, verrebbe da pensare «Lasciate ogni speranza, o voi ch’entrate» nella Conferenza delle Parti di Glasgow.
Cop26: chi mal comincia…
«Azzerare le emissioni nette a livello globale entro il 2050 e puntare a limitare l’aumento delle temperature a 1,5°C» attraverso un rapido abbandono dell’utilizzo del carbone, una netta riduzione della deforestazione, efficaci incentivi indirizzati alla produzione di energia rinnovabile e una velocizzata transizione verso il trasporto elettrico. Il primo obiettivo della Cop26, tanto ambizioso quanto urgente, sembrerebbe essere già diventato un sogno difficilmente realizzabile. Da un recente articolo pubblicato su The Guardian si apprende infatti che «L’ONU, i padroni di casa del Regno Unito e altre figure importanti coinvolte nei colloqui hanno ammesso in privato che l’obiettivo originale del vertice Cop26 sarà mancato, poiché gli impegni sui tagli alle emissioni di gas serra delle principali economie non saranno all’altezza del dimezzamento delle emissioni globali necessario per limitare il riscaldamento globale a 1,5°C».
Una sfiducia che di certo non fa ben sperare e che conferma quanto detto dalla giovane attivista svedese Greta Thunberg durante la Youth4Climate: Driving Ambition tenutasi a Milano lo scorso 28 settembre: il “bla bla bla” ambientale con il quale i decisori politici cercano di vendersi alle nuove generazioni e con il quale si apprestano ad affrontare la Cop26 rappresenta il primo muro da abbattere affinché la crisi ecologica globale venga affrontata in maniera efficace. Con buona pace del Ministro Cingolani, che commette il sostanziale errore di confondere i diritti di chi protesta con i doveri di chi governa, il chiacchiericcio inconcludente della politica internazionale è confermato da fatti incontestabili, da azioni di boicottaggio atte a rallentare il processo di transizione ecologica, da un negazionismo climatico insensato ma duro a morire e, non per ultimo, da un immortale desiderio di salvaguardia per un sistema economico che è lo stesso che ci ha portati a un punto di non ritorno.
La Cop26 è iniziata e non possiamo permetterci ulteriori perdite di tempo. Eppure l’immobilismo politico continua a essere il principale ostacolo contro cui nessuna azione sembra avere effetto. Un’inazione che alcuni Paesi e che svariate aziende su scala globale vorrebbero favorire attraverso azioni gravissime come quelle scoperte e denunciate dalla BBC. Dalla fuga di notizie ultimamente rivelata dall’emittente britannica si apprende infatti che nazioni quali Arabia Saudita, Giappone e Australia starebbero facendo pressioni affinché l’ultimo rapporto IPCC sui cambiamenti climatici venga modificato col fine di «minimizzare la necessità di un rapido abbandono dei combustibili fossili».
A queste folli richieste si aggiungono le altrettanto imprudenti osservazioni di Brasile e Argentina, due delle principali nazioni produttrici di carne bovina e mangimi per animali: «Entrambi i paesi invitano gli autori a cancellare o modificare alcuni passaggi nel testo che fanno riferimento alle “diete a base vegetale” che svolgono un ruolo nell’affrontare i cambiamenti climatici o che descrivono la carne come un alimento “ad alto contenuto di carbonio”» rivela la BBC.
Ai sabotaggi di Arabia Saudita, Giappone e Australia e al negazionismo scientifico di Brasile e Argentina segue l’avarizia capitalista della Svizzera e, ancora una volta, del più grande Paese dell’Oceania, quest’ultimo evidentemente troppo preoccupato a difendere gli interessi di pochissimi per notare l’enorme elefante nella stanza che da anni minaccia la vita degli stessi australiani. Secondo i documenti diffusi dalla BBC, i due Paesi sarebbero concordi nell’affermare che «gli impegni climatici dei paesi in via di sviluppo non dipendono tutti dalla ricezione di un sostegno finanziario esterno» e che per tale motivo bisognerebbe modificare quelle parti del rapporto IPCC che promuovono un’azione finanziaria a favore dei Paesi poveri i quali, proprio per la mancanza di fondi, non potrebbero raggiungere in tempo gli obiettivi riguardanti la riduzione delle emissioni.
… peggio termina
«Houston, abbiamo un problema» direbbe Jack Swigert, astronauta statunitense a bordo della celebre missione Apollo 13. Un problema di cattive intenzioni, di pessime figure, di ingratitudine, arroganza e d’interessi economici che sembrerebbero aprire la strada a un definitivo crollo climatico. I documenti pubblicati dalla BBC dimostrano chiaramente che la tutela ambientale non è più questione scientifica. La scienza infatti è da decenni chiara sulle azioni da mettere in pratica contro la crisi ambientale. Come sono chiari e netti gli obiettivi della Cop26 di Glasgow: azzerare le emissioni nette, salvaguardare le comunità e gli habitat naturali, mobilitare finanziamenti e soprattutto collaborare.
Non più scienza ma volontà umana quindi. Le pressioni avanzate da Paesi quali Australia, Arabia Saudita, Giappone, Svizzera, Brasile, Argentina atte a modificare il rapporto IPCC si sommano agli obiettivi climatici non raggiunti dai grandi inquinatori (Cina in testa). Come sottolineato da Mary Robinson, ex presidente dell’Irlanda «Gli NDC [Contributi Nazionali Determinati N.d.r.] saranno deludenti, data l’urgenza e gli impatti climatici». Occorrerà quindi volontà da parte di tutte le nazioni del mondo nel rivedere e aggiornare annualmente i propri NDC, accantonando quanto previsto dagli Accordi di Parigi secondo cui i Paesi sono tenuti a presentare ogni cinque anni gli obiettivi climatici utili al mantenimento della temperatura globale al di sotto degli 1,5°C.
La Cop26 non può fallire. In essa sono riposte tutte le speranze delle nuove generazioni e il futuro dell’intera umanità. Un eventuale (e a questo punto probabile) insuccesso della Conferenza di Glasgow sul clima vorrebbe dire catastrofe climatica certa con conseguenze ancor più gravi di quelle che già oggi stanno colpendo le popolazioni di tutto il mondo. Gli eventi estremi che hanno colpito la Sicilia sono solo il preludio di quello che potrebbe aspettarci nel prossimo avvenire. Dalla volontà d’azione di tutti i 197 Stati membri della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici dipenderà l’esito nefasto o meno della Cop26. Agire o pagarne le conseguenze, non ci sono alternative.
Marco Pisano