Nell’ambito dell’incontro tra i capi di Stato e di governo dei Paesi membri della NATO, attualmente in corso a Londra in occasione del settantennale dell’Alleanza, sembra si sia riunito una sorta di gruppo ristretto, che ha dato vita a un più riservato vertice sulla Libia: in quest’occasione sarebbero stati coinvolti Francia, Germania, Gran Bretagna e Turchia, ma non l’Italia.
Il vertice sulla Libia senza l’Italia
Nonostante il presidente del Consiglio Conte, che durante un incontro con Donald Trump ha parlato anche della questione del Paese nordafricano, abbia teso a minimizzare o persino a negare l’esistenza di un blocco separato di nazioni che ha agito senza l’Italia, la notizia del vertice sulla Libia non ha colto del tutto di sorpresa gli osservatori internazionali, tanto meno quelli italiani. In effetti, come si legge sull’edizione cartacea di Repubblica, persino al Ministero degli Esteri sono ormai ben consapevoli che l’esclusione di Roma dall’incontro ristretto consiste in un disastro annunciato per la diplomazia italiana.
In effetti, il governo Conte (sia il primo che il secondo) non ha mai dimostrato un concreto interesse per la Libia: l’Italia è così retrocessa all’interno dello scacchiere internazionale in una posizione più defilata, ben distinta da quella assunta nella prima metà degli anni duemiladieci, quando si è proposta con forza come interlocutore necessario per pacificare il Paese e come uno dei sostenitori più convinti del governo Serraj, riconosciuto ufficialmente dall’ONU. L’esclusione dal vertice sulla Libia appare quindi come una più che logica conseguenza di questo atteggiamento.
Anche secondo diversi esperti, del resto, l’incertezza interna ha consigliato ai politici italiani di concentrarsi sugli affari del “giardino di casa“, curandosi poco di quello che avveniva fuori. La strategia più eclatante messa in atto dagli ultimi esecutivi è perciò coincisa “solo” con i vergognosi pagamenti corrisposti sottotraccia ai trafficanti libici o con i rinnovi di accordi ufficiali altrettanto discutibili, per trattenere i migranti sul suolo libico alla mercé di torture e soprusi.
L’inserimento della Turchia sullo scenario libico
Nel frattempo, altri soggetti si sono fatti avanti per reclamare lo spazio lasciato libero dall’Italia. In primis la Russia, interessata alla destabilizzazione della Libia a vantaggio del suo favorito, il generale Haftar, anche attraverso l’impiego di contractors privati dalla dubbia reputazione. In secondo luogo la Turchia, che invece si è proposta come interlocutore più autorevole e “ufficiale”: alla vigilia del vertice NATO di Londra (e dunque dell’incontro ristretto sulla Libia), ha concluso persino un accordo in cui si comprende una più forte cooperazione militare con Tripoli, nonché una definizione, da parte dei due governi, dei confini marittimi a est delle coste libiche. Quest’ultimo aspetto pare assumere una specifica rilevanza per gli equilibri del Mediterraneo orientale.
Sembra dunque paradossale che un governo come quello della Turchia, sotto accusa in questi mesi per la spregiudicata aggressione alla Siria e tra i maggiori imputati, insieme agli Stati Uniti, dello “stato di morte cerebrale” della NATO, a causa del suo autoritarismo e della politica di Potenza fine a se stessa, si sia seduto al tavolo del vertice sulla Libia al posto dell’Italia.
La strana leadership della Francia
Non è invece casuale che sia stata la stessa Francia a guidare quel tavolo: si sa che Macron intende competere per la leadership atlantica con gli Stati Uniti, per ora silenti sulla questione libica, tanto silenti da essere stati esclusi anch’essi dall’incontro ristretto. La differenza tra la posizione degli USA e quella dell’Italia, però, è che se Trump trova tutto sommato accettabile non partecipare attivamente alla ricerca di una soluzione di pace per la Libia, perché la strategia statunitense è ormai da anni quella del disimpegno dai fronti esteri più caldi, per Roma si tratta invece di un vero e proprio smacco, perché i suoi interessi in Libia, a cominciare proprio dal tema dell’immigrazione, sono decisamente più pressanti.
Attraverso occasioni come il ristretto vertice sulla Libia di Londra, lasciare a Macron e alla Francia, che in passato ha contribuito essa stessa a destabilizzare il fronte libico con inopportuni interventismi, il comando incontrastato del tavolo diplomatico ha significato consentirle di attivare una linea d’azione praticamente autonoma. L’Alleanza non sembra ancora avere una linea comune sul punto: ciò ha finito persino per favorire una riabilitazione, in qualche misura, della Turchia di Erdogan nel contesto atlantico.
Ankara deve aver creduto che la politica aggressiva e le ambizioni di “sultanato” in Medio Oriente siano state comunque un utile strumento di pressione, visto che, in fin dei conti, sono servite a inserirsi a pieno titolo in un incontro ristretto all’interno del vertice di un’Alleanza messa in crisi, appunto, anche dal suo stesso comportamento.
Lo stesso Macron (le posizioni di Berlino e Londra sul punto appaiono più sfumate in questo senso), nonostante le dure dichiarazioni contro la Turchia dei giorni scorsi, non ha potuto fare a meno di constatare la rinnovata rilevanza di Erdogan sullo scenario internazionale: la decisione di consentirgli di partecipare all’incontro ristretto rappresenta la logica conseguenza di questa presa di coscienza.
In definitiva, il vertice sulla Libia, ma soprattutto la presenza della Turchia, appare come un vero autogol per l’intero sistema diplomatico italiano, marginalizzato all’interno dell’Alleanza atlantica. Il modo di (non) gestire delicati equilibri e scenari come quello libico, che potrebbe avere decisive ripercussioni sul futuro stesso della NATO, ha messo in crisi la considerazione generale del valore dell’azione diplomatica italiana e del potere contrattuale, in campo internazionale, del suo debole e litigioso governo.
Ludovico Maremonti