Giorgieness, la ricerca della quiete dentro la tempesta
Foto di Giulia Bartolini Blu Photographer

In balia della tempesta emotiva che travolge tutto e tutti, il quartetto indie rock valtellinese Giorgieness, si è lasciato trasportare decantando, nel loro ultimo singolo dalle avvolgenti sonorità acustiche ed elettriche e dall’emblematico titolo “Tempesta”, le diverse manifestazioni delle contraddizioni e della fallibilità umana.

Capita delle volte di venire delusi da comportamenti esterni, di avere conseguenti difficoltà relazionali e di sentire la necessità di chiudersi in sé stessi. Quando questo accade, l’anima viene a tutta prima pervasa da una tempesta introspettiva ma sa che, una volta cessata la bufera, ritornerà il sereno e tutto si ricomporrà alla pace di un tempo.

L’alternanza tra stati di agitazione e momenti di quiete è parte integrante del terreno esistere: secondo l’imperscrutabile ciclo degli eventi, sollecitati in differenti modi e da vari agenti, presumibilmente nuovi maltempi interni arriveranno, facendo avvertire turbamenti ancor più forti. Come ricordato dai Giorgieness, è cosa opportuna, anziché attendere la fine della tempesta, ricercare l’armonia tra le oscillazioni dello spirito nell’immediato: tener presente che, malgrado gli sconvolgimenti, è uno stato raggiungibile può risultare salvifico.

Forse è questa la mia libertà
Chiamami tempesta
Come il vento che distruggerà
Ogni tua certezza

La redazione di Libero Pensiero News ha avuto il piacere di intervistare la frontwoman dei Giorgieness, Giorgia D’Eraclea, che ha cortesemente risposto ad alcune nostre domande in merito l’ultimo degli inediti pubblicati dalla band d’appartenenza “Tempesta”, prodotto da Ramiro Levy, Marco Olivi e Napoleone e in uscita il 3 febbraio per la label Sound To Be. L’intervista completa:

Ciao Giorgia, ti ringraziamo innanzitutto per essere qui con noi. Nella lingua inglese il suffisso -ness, che viene utilizzato per formare sostantivi astratti dagli aggettivi, indica l’essere in un dato modo. Quale motivazione vi ha spinti ad inserire tale elemento morfologico nel nome della vostra band?

«Fin dalla mia prima infanzia mio padre mi ha fatto da Cicerone nella mia personale perlustrazione del mondo della musica, educandomi ad un ascolto attento e consapevole. Ho iniziato a muovere i miei primi passi suonando la chitarra, strumento che ho sempre avuto in casa ma che non ho mai approfondito (se non tramite qualche corso spot). La prima band l’ho fondata insieme alla mia migliore amica quando avevamo all’incirca quattordici anni; da lì non mi sono mai fermata finché nel 2011 è nato il mio attuale progetto musicale. Spinta dall’urgenza di comunicare un nome d’arte ai locali dove andavo a suonare da solista i miei primi componimenti, ho optato per Giorgieness, nickname che utilizzavo online nato dall’unione del mio nome di battesimo Giorgia + il cognome del cantante e paroliere dei Social Distortion Mike Ness. Nonostante di tempo da allora ne sia passato, ho deciso comunque di tenerlo immutato attribuendogli un nuovo significato:“giorgiezza”. Giorgieness è l’anima di ciò che sono realmente, nonché la voglia comunicare in note un intenso vissuto che ha la presunzione di dover essere raccontato.»

Dagli albori della vostra carriera ad oggi i Giorgieness hanno dato prova di aver acquisito una maggiore padronanza dei vostri mezzi, oltreché una notevole poliedricità: se prima il suono era più violento, ora sembrerebbe essere più ragionato. Quanto ha influito il background musicale?

«Come accennato, in famiglia c’è sempre stata una grande passione riguardo ciò che concerne la musica, in tutte le sue forme: mio padre grande ascoltatore di rock e cantautorato americano, mia madre amante dei parolieri nostrani ed infine una Giorgia adolescente appassionata di punk rock. Questo melting pot ha indubbiamente influenzato il mio modo di intendere e fare musica.»

Al di là di questo, anche a livello testuale ho notato alcuni cambiamenti: se inizialmente annunciavi, attraverso le canzoni, al mondo la tua rabbia nel provare emozioni come tristezza, malinconia e dolore e il desiderio che non ti appartenessero, ultimamente – in particolar modo nell’ultimo inedito pubblicato “Tempesta” – il tuo approccio nei loro confronti è variato radicalmente. A cosa sono dovuti questi mutamenti?

«Le prime canzoni le ho scritte in un arco temporale molto lungo, quasi quattro anni; le successivamente hanno invece una gestazione breve ed intensa. In fase di registrazione, ho finora spiegato molto bene a Davide – produttore, successivamente chitarrista – come mi sentivo in quel dato momento, come volevo comunicarlo e quanto volessi distanziare il mondo sonoro dal primo al secondo disco: d’altronde, a fare sempre la stessa cosa ci si annoia e, soprattutto, si rimane fermi. Vivo a trecento all’ora, non sono nemmeno oggi ciò che ero ieri ed amo farlo. Credo che i mutamenti di cui parli siano frutto di una fisiologica crescita del mio pensiero e del modo di vivere: Giorgieness e Giorgia non sono due entità distinte ed essendo ciò che suoniamo fortemente legato alle parole, ne hanno risentito i testi. Maturando ho avuto modo di scoprire me stessa e la gioia del sapermi accettare per come sono senza alcuna indulgenza. Non bisognerebbe mai smettere di lavorare sulla propria persona, lasciando al di fuori l’immagine che l’altro ha di te: nessuno è perfetto, della volte si è cattivi e dell’altre fragili. Essere felici non è uno status quo, ma una tensione costante che ci spinge a cercarla di nuovo quella felicità. Potrei sembrarvi masochista se vi dico che personalmente ricerco anche la tristezza, lo sconforto: il desiderio di provare senza timori sulla mia pelle la vasta gamma di suggestioni che la vita mi propone è troppo forte, non mi fa paura.»

Tempesta” parrebbe essere la canzone che segna definitivamente questa tua ritrovata concordia con ciò che eri e ciò che sei diventata. Giorgia, in tal senso, che accezione assume il termine che dà titolo al tuo singolo più recente?

«Con tale vocabolo, era mia intenzione indicare il contrasto di passioni, di sentimenti e il conseguente subbuglio che ne comporta. Quando hai dentro di te una tempesta interiore, essa ti attraversa completamente portandoti ad essere autodistruttiva come lei. Essere in grado di scorgere all’orizzonte i colori vivaci dell’arcobaleno attraverso gli scrosci di pioggia, i fulmini e le raffiche di vento che aizzano le foglie l’una contro l’altra appare un’impresa ardua. Sono finalmente riuscita a fare pace con me stessa, a non credere in un imminente temporale. Ho voluto trasporre questi miei pensieri in un brano che spero vivamente sia di vostro gradimento.»

In questi ultimi anni la musica con le chitarre ha subito qualche flessione. Come vivi questo cambio di paradigma?

«Ad essere sincera, non me ne preoccupo più di tanto. Finché esisterà qualcuno che, come me, chiuso in una stanza prenderà in mano una sei corde vomitandoci sopra i suoi segreti, la musica con le chitarre resterà sì sofferente ma impossibile da distruggere. Se una canzone regge chitarra e voce, puoi vestirla come vuoi: puoi metterci i synth o i campanacci tirolesi, quel pezzo ti emozionerà comunque.»

Vincenzo Nicoletti

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