I Paradisi: tra visione e realtà, alla ricerca dell'unità dell'essere
Foto di Mauro Di Parma

Nelle loro vene scorre il Lambro, immagine umida e nebbiosa di una Brianza che fa da sfondo alla riflessione elegiaca sulla vita degli anni Zero. Una visione emblematica e paradisiaca in cui si fondono quattro esistenze vissute in una ben definita striscia di terra, i quindici chilometri che dalla periferia Nord di Milano risalgono verso i laghi.

Quindici chilometri di nebbia e industria, quindici chilometri difficili da vivere e capire, un luogo specifico, un angusto universo attraverso cui si materializzano dolori universali. I Paradisi, formatisi nel 2012 dalle ceneri dei Paradisi Noir, gruppo di rock poetry fondato dal Cristian D’Oria e Paolo Ornaghi, portano alla luce, tramite un tappeto sonoro che ingloba liriche dalla straordinaria poetica al sound di musicisti decisamente affini per estetica musicale, le loro personali percezioni, dove l’immaginazione è considerata più tangibile e concreta della realtà stessa.

Cercando di penetrare i presupposti metodologici da cui I Paradisi sono partiti nella propria analisi, in cui sostengono con forza la necessità di indagare il ponte esistente tra l’elemento poetico e la struttura musicale come fatta d’arte, noi di Libero Pensiero abbiamo intervistato il fondatore del complesso brianzolo. Di seguito il risultato della nostra conversazione con Cristian D’Oria.

Il nome scelto per definire la vostra band risulta essere piuttosto ermetico. Quale idea simboleggia?

«Il nome I Paradisi altro non è che un’abbreviazione del precedente Paradisi Noir. L’abbiamo adottato in quanto volevamo esprimere un contrasto, vale a dire il complesso rapporto e la complementarità fra il positivo (la visione, il paradiso) e la fosca realtà; si tratta, quindi, di un ossimoro. Personalmente, crediamo che solo nella fusione delle discordanze si possa ritrovare l’unità.»

Come è nato il progetto I Paradisi?

«Il progetto Paradisi Noir nasce nel lontano 2004, da un mio incontro fortuito con Paolo Ornaghi, avvenuto in ambito poetico/musicale. All’epoca egli faceva reading poetici con il Viandante, mentre io ne curavo gli accompagnamenti musicali. Dato che le sue liriche si prestavano molto alle mie canzoni, abbiamo iniziato degli esperimenti di fusione tra le due. Inizialmente, ci esibivamo come duo, adottando il nome di Paradisi Noir; prese così il via questo progetto che fonde la canzone rock d’autore con la poesia. Col passare degli anni, la formazione si è ampliata: l’arrivo, dapprima, di Andrea Mottadelli (già Jet Lag e Arancioni Meccanici) che ha curato tutti gli arrangiamenti di chitarra, basso e batteria dei brani, dando nuova forza espressiva alle nostre sonorità e, successivamente, l’ingresso di Valerio Paronzini e Henrico Pantano, rispettivamente bassista e batterista dei Male di Grace, hanno fornito nuova linfa vitale. Il rapporto con le new entry, in realtà, era già rodato giacché, anni fa, avevamo suonato insieme in un gruppo chiamato Fu-demonia; la collaborazione tra noi, tempo discorrendo, non è mai venuta meno. Nel 2012, a seguito dell’abbandono di Paolo, abbiamo intrapreso un nuovo corso in rinnovate vesti: I Paradisi.»

Quali influenze musicale, oltreché poetiche, stanno alla base delle vostre sonorità e delle vostre atmosfere?

«Definendoci un gruppo di rock poetry, si palesa un legame con il complesso musicale per eccellenza che nella storia della musica ha rappresentato al massimo la capacità di fondere il rock ai testi poetici, ossia i Doors. Jim Morrison, prima che cantante, era autore di liriche, che troviamo raccolte anche in vere e proprie antologie dedicate alla poesia contemporanea. Credo, pertanto, possa essere definito un poeta, ancor prima che un animale da palcoscenico, del quale, peraltro, ha avuto una spontanea padronanza. Il nostro intento, senza volerci assimilare ai mostri sacri della musica, è lo stesso: portare un forte contenuto in ambito rock cantautorale. Nella realtà dei fatti, nel panorama nostrano questo percorso è già stato intrapreso da vari gruppi, soprattutto negli anni Novanta. Mi riferisco ai CSI, ai Marlene Kuntz, ai Subsonica dei primi anni e ai Massimo Volume, che propongono testi parlati su basi rock noise.»

A I Paradisi va riconosciuto il grande merito di essere pervenuti alla totale compenetrazione tra la parte declamata e la parte cantata. Come siete giunti all’acquisizione di una cifra stilistica tutta vostra?

«Il canto e la poesia recitata si fondono in un modo originale, senza che l’una sia mero orpello dell’altra, si sottraggono a vicenda nel loro essere essenziali. Nel momento in cui i testi pongono elementi di riflessione, i brani godono di un assetto musicale incisivo, capace di arrivare al pubblico in maniera diretta, non mediata, in grado anche di far emozionare e divertire. Grazie alle diverse anime presenti nel gruppo, la componente dell’intrattenimento non è affatto secondaria.»

Vincenzo Nicoletti

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