Alzi la mano chi, incoraggiato dal polverone mediatico globale sull’impeachment di Donald Trump, ha pensato per un solo minuto che la messa in stato d’accusa del più controverso presidente della storia degli Stati Uniti sarebbe potuta effettivamente servire a chiudere prima del tempo i conti col populismo sovranista in quella nazione. Probabilmente, dopo l’assoluzione di pochi giorni fa, le mani alzate di ex speranzosi e delusi di tutto il mondo sono parecchie.
Tuttavia, riflettendoci un attimo in più, come avrebbe mai potuto essere possibile che un presidente, il cui consenso nelle ultime settimane è rimasto quantomeno stabile invece di diminuire a causa dello scandalo impeachment e con un Senato a lui favorevole, venisse rimosso dalla propria carica all’esito di un procedimento che era subito apparso come un’audace manovra politica democratica in vista delle presidenziali del 2020? L’assoluzione di “The Donald” è stata sempre l’epilogo annunciato di una scommessa persa in partenza.
L’impeachment impossibile di Donald Trump
Eppure il Partito Democratico aveva puntato forte sull’impeachment: consapevole di non riuscire a intaccare lo zoccolo duro dell’elettorato di Trump, nonostante il carisma di personaggi come Bernie Sanders o Alexandria Ocasio-Cortez, o della stessa speaker della Camera Nancy Pelosi, si è affidato all’arma estrema del sistema costituzionale americano pur di liberare gli USA (e un po’ tutto il pianeta) da una figura politica schizofrenica, instabilmente pericolosa e imprevedibile sul piano sia interno che internazionale.
I calcoli democratici sono stati sbagliati dall’inizio: in tutta questa vicenda, purtroppo, non si è smosso il bacino di consenso trumpiano, costruito su quell’opinione pubblica narcotizzata dalle chiacchiere sull’America “great again“, dall’ossessione per il complotto, dalla retorica da terza elementare del Bene contro il Male, dell’Amore del popolo americano contrapposto all’Odio dei nemici in tutto il mondo.
“Se, su queste basi, il consenso nei confronti del presidente non cala, perché dovremmo abbandonarlo alla vigilia delle elezioni presidenziali, alle quali non avremmo nemmeno uno straccio di candidato alternativo da opporre ai democratici?”: questo dubbio tutt’altro che amletico dei senatori USA è stato risolto in fretta, in favore dell’assoluzione di Trump dall’impeachment più scontato della storia.
Si può dire, del resto, che quello conclusosi giovedì non è stato nemmeno un vero impeachment. I repubblicani al Senato, soprattutto nella persona del loro leader, Mitch McConnell, hanno premuto sull’assemblea per una votazione quanto più possibile repentina, che facesse a meno di audizioni di testimoni e altre acquisizioni probatorie. In pratica, McConnell ha comandato un voto secondo coscienza.
L’unico senatore repubblicano che si è dimostrato in possesso, appunto, di una coscienza è stato però Mitt Romney, che ha ritenuto effettivamente Trump (i due non si sono mai amati) colpevole dell’abuso di potere contestatogli dalla Camera dei Rappresentanti. Tutti gli altri hanno abbracciato la tesi del complotto democratico ai danni del presidente, caratterizzato come la povera vittima di un processo politico cui spettava di diritto l’assoluzione.
Il Partito Democratico tra azzardi ed errori
Anche ragionando a posteriori, è difficile dire che se i democratici avessero giocato la partita diversamente tutto sarebbe andato secondo i loro piani (vale a dire che un personaggio arrogante e usurpatore, in particolare nel Bidengate che ha dato il via all’impeachment, sarebbe stato destituito grazie a un meccanismo di garanzia democratica basato sulla Costituzione). Eppure, qualche errore strategico è stato fatto, soprattutto considerato il ritorno mediatico di alcune scelte politiche che potrebbero pesare sullo scenario del dopo assoluzione.
La mattatrice della scena istituzionale americana tra novembre e dicembre, Nancy Pelosi, ha condotto in prima linea la battaglia parlamentare contro Trump: purtroppo questa iniziativa ha finito per incanalarsi sui binari di una personalizzazione (Pelosi e i democratici vs Trump) che non ha fatto bene alla causa. L’opinione pubblica americana filo-presidenziale, infatti, ha capito ben poco le vere ragioni dell’impeachment e a nulla sono servite le manifestazioni di piazza nelle grandi città: la spaccatura tra USA urbani e rurali, tra radical chic e rednecks, su cui del resto si è giocata gran parte della partita del consenso di Trump rastrellato nella provincia più emarginata, retrograda e depressa, non si è sanata certo intorno alla partita dell’impeachment.
La verità è che l’impeachment e le sue propaggini mediatiche e politiche hanno fatto il solletico a Trump e si preannunciano come un vero boomerang per i democratici, che non solo non ci hanno guadagnato nulla, ma rischiano di rimanere vittime delle propria stessa audacia. Il vento non sta cambiando, sta solo soffiando più forte. La prova sono gli insulti generalizzati che Trump ha affidato a Twitter dopo il proscioglimento, indirizzati ovviamente ai democratici come Pelosi in primo luogo. Senza contare che lo stesso presidente intende attivare la procedura, prevista in questi casi, per la completa riabilitazione, attraverso la rimozione ufficiale di tutti gli atti della tentata incriminazione.
Già alla vigilia del voto al Senato, del resto, il presidente Trump aveva offerto la solita ostentazione di sicurezza e presunzione, non stringendo la mano a Pelosi prima del proprio discorso alla Camera dei Rappresentanti. Fatto gravissimo, questo, un’aperta dichiarazione di guerra all’interno di un insanabile conflitto istituzionale tra la prima e la terza carica dello Stato, inscenata con tempi e modi da reality show cui la speaker della Camera ha deciso di adeguarsi, sbagliando, attraverso il gesto plateale dello strappo del discorso di Trump in favore di telecamere.
Un coup de theatre che adesso Pelosi rischia di far pagare caro a tutto il suo partito: dopo l’assoluzione al Senato, infatti, i repubblicani alla Camera non hanno esitato a proporre una mozione contro la presidente dell’assemblea proprio a causa di quel gesto. Certo, la maggioranza democratica solleverà eventualmente la sua capofila dall’accusa di aver tenuto un comportamento scorretto, ma chi salverà a quel punto i democratici dall’accusa di Trump di usare leggi e regolamenti a proprio esclusivo piacimento, accusando ingiustamente lui e poi assolvendo una “persona cattiva“, come il presidente ha definito Pelosi?
L’inizio della fine per la democrazia americana?
Del resto, dopo l’assoluzione la reazione di Trump non risparmia nemmeno qualche illustre collaboratore implicato suo malgrado negli accertamenti sull’impeachment. È notizia fresca il siluramento di due personaggi di spicco dell’entourage presidenziale, Alexander Vindman e Gordon Sondland: il primo, membro del consiglio di sicurezza presidenziale, insieme al secondo, ambasciatore USA presso l’Unione Europea, sono responsabili di aver testimoniato nel procedimento alla Camera propedeutico alla messa in stato d’accusa di Trump. La “colpa” di aver rispettato l’ordinamento democratico degli Stati Uniti, dunque, è stato il pretesto del loro licenziamento.
Con simili premesse, il fallito impeachment potrebbe essere davvero l’inizio della fine. Con Trump che, in piene primarie democratiche in corso con tanto di figuraccia sul conteggio dei voti in Iowa, pubblica tweets dove si autoproclama presidente a vita, la luce in fondo al tunnel non si vede più. Come scrive il Washington Post, passato il ciclone – impeachment le elezioni presidenziali saranno il vero punto di non ritorno per la storia politica americana: in mano al popolo USA c’è la possibilità di operare una scelta definitiva, tra la consacrazione del metodo Trump, autoritario e sprezzante delle leggi e della corretta competizione democratica, e il suo rigetto definitivo, che impedirà a ogni altro potenziale successore di comportarsi allo stesso modo.
Pelosi può continuare a ripetere che Trump rimarrà per sempre, almeno idealmente, sotto impeachment: è nelle mani dei cittadini che si trova il vero verdetto della messa in stato d’accusa. Non per essere pessimisti, ma… appuntamento all’autunno per la prossima assoluzione!
Ludovico Maremonti