Le elezioni in Grecia dello scorso 7 luglio erano molto attese, anche se dall’esito pressoché scontato: la fine della controversa era Tsipras, segnata completamente dal piano di risanamento economico della Troika, e il ritorno all’esecutivo del vecchio Centro-Destra, ora guidato da Mitsotakis. Inutile mantenere la suspense, tutti i pronostici sono stati ampiamente rispettati. Eppure questo appuntamento elettorale ha esiti lontani dall’ovvietà, e merita molta più considerazione della semplice cronaca.
Chi sono, davvero, i vincitori e i vinti? Cosa c’è stato in gioco? E quale fisionomia assumerà la Grecia da adesso in avanti?
Cosa raccontano le urne: Tsipras tiene e Mitsotakis trionfa
I risultati elettorali che arrivano da Atene sono, come già sottolineato, gli stessi previsti dagli analisti e preannunciati dalle varie rilevazioni demoscopiche precedenti alla consultazione. Tuttavia si possono osservare variazioni percentuali forse aritmeticamente poco significative, ma politicamente decisive e sostanziali.
A scrutinio concluso, le elezioni in Grecia ci dicono che la formazione di Centro-Destra “Nea Dimokratia” sfiora per un soffio il 40% dei consensi. Kyriakos Mitzotakis, alla guida del partito conservatore e liberale dal 2016, è riuscito ad incassare la maggioranza assoluta in Parlamento, sulla base di quello che è un indiscutibile trionfo politico.
Un trionfo che è solo parzialmente eclissato dalla sorprendente tenuta di Syriza: la coalizione della Sinistra Radicale guidata da Alexis Tsipras è stata in grado di superare le aspettative della vigilia, e di recuperare 8 punti rispetto al risultato delle Elezioni Europee (dal 23% al 31%). Reduce da un’esperienza di governo segnata dalle impopolari misure imposte dal memorandum della Troika, la parabola di Tsipras sembrava destinata a concludersi rovinosamente, ed invece così non è stato. Il risultato dà ossigeno all’ex-primo ministro, e gli consegna il ruolo di principale opposizione al nuovo governo con grandissimo margine.
È questo l’altro dato politico su cui riflettere: con le elezioni in Grecia è tornato il bipolarismo, e la frammentazione parlamentare è assai ridotta. Superano la soglia di sbarramento con risultati non eccezionali i socialisti di Kinal (ex Pasok) che si fermano all’8%, i comunisti del KKE che si assestano al 5,3%, con i nazionalisti di Soluzione Greca e MeRa25 dell’ex ministro Varoufakis, che esordiscono rispettivamente con il 3,7% e il 3,4%. Restano clamorosamente fuori dalla ripartizione dei seggi i neo-fascisti di Alba Dorata che si fermano al 2,8%, a meno 4 punti dalle scorse elezioni. La Grecia resta un paese a basso tasso di penetrazione sovranista, nonostante la delicata situazione economica.
Il futuro della Grecia, tra risposte mancate e promesse demagogiche
Con un quadro politico rinnovato e stabile, il destino del paese ellenico, dopo anni passati al contempo tra incertezza e determinismo dettati dalla crisi, dovrebbe ora essere, se non certo radioso, almeno più nitido, all’insegna del cambiamento. Purtroppo così non è, a causa del contesto economico che rimane fragile, ma soprattutto a causa delle contraddizioni politiche di Mitsotakis e Tsipras, l’uno vittorioso, l’altro vittoriosamente sconfitto.
Innanzitutto, il nuovo esecutivo non rappresenterà una novità per la politica greca: i popolari hanno già governato in passato, ed hanno contribuito in modo significativo all’aumento abnorme del debito pubblico e all’incancrenirsi dei problemi economici del paese. Lo stesso Mitsotakis ha una storia personale eloquente al riguardo: rampollo di una ricca famiglia di armatori e ultimo nome di una consumata dinastia politica che ha già espresso tra i tanti anche un primo ministro (il padre), non è certo un homo novus.
Il programma politico, che ovviamente non si discosterà troppo dal passato, non rassicura circa la credibilità del neo-eletto capo di governo: la piattaforma “ultra-liberale” di Mitsotakis mette al centro delle proposte lo shock fiscale a favore delle imprese e del grande capitale, cercando però di limitare ulteriori ed impopolari tagli al settore pubblico. Un pericoloso tentativo di “Big Tent”, già visto in Italia.
D’altra parte Tsipras potrà invece concedersi anni di opposizione, dopo quelli al governo indiscutibilmente e necessariamente complicati dal risanamento, per riuscire a recuperare consensi e realizzare più compiutamente il proprio programma. Il fu astro nascente della Sinistra Europea ha dichiarato durante il comizio a chiusura della campagna elettorale che, qualora i greci gli avessero conferito nuovamente la maggioranza per governare, non si sarebbe trattato della seconda occasione, bensì della prima.
Eppure l’esperienza dello scorso esecutivo non può essere cancellata dalle orazioni: della rivoluzione di Tsipras resteranno le misure draconiane lacrime e sangue, la trattazione al ribasso con la Troika, l’uso incoscienzioso dello strumento referendario. Il merito è sicuramente suo se la Grecia ha ripreso a respirare, e gli elettori hanno in parte premiato questo senso di responsabilità e di realismo. Hanno invece punito l’assenza di risultati tangibili nella lotta al neoliberismo e all’austerità. La sua credibilità rispetto alla costruzione dell’alternativa sociale è ragionevolmente ridimensionata, e rimane legittimo chiedersi se, una volta tornato al governo, ne sarebbe effettivamente all’altezza. La ferita del suo rapporto con il popolo greco è ancora aperta.
It’s the economy, stupid!
Infine c’è la realtà, l’economia: nonostante il quadro macro-economico appaia migliorato e il programma finanziario di rientro della Troika sia formalmente terminato, anche dopo le elezioni in Grecia persistono tassi di povertà e di esclusione sociale allarmanti, resi drammatici dalla contrazione della spesa anche per sanità e previdenza, e il debito pubblico è ancora al 180% del PIL.
Sul paese pende inoltre la scure dei prestiti di 110 miliardi di Euro da restituire ai creditori entro il 2032, con lo sguardo vigile della BCE, dell’FMI e della Commissione Europea, che continueranno a sorvegliare i conti pubblici del paese e ad avere l’ultima parola.
Il concomitarsi di fattori comprime all’inverosimile gli spazi di manovra politica, e pone un’ipoteca definitiva sull’efficacia e sull’esperibilità delle misure del governo Mitsotakis (le quali andrebbero a deteriorare la portata delle entrate), sia l’eventuale ricetta economica keynesiana ed espansiva di un futuro, eventuale esecutivo a guida Syriza. La trappola dell’austerity è e sarà il “Nodo di Gordio” della politica ellenica, e caratterizzerà la vita dei greci ancora per decenni.
In Grecia vincono la Troika e il populismo, perde la politica
E dunque? Quali sono i vincitori e quali sono i vinti dopo le elezioni in Grecia? Il futuro degli ellenici è ancora incerto, così incerto da essere fatalisticamente determinato. I fatti dicono che non ci sono reali vincitori.
A vincere, semmai, è ancora la Troika. Ad uscirne sconfitto è il popolo ellenico che, per cinismo o ingenuità, si è trovato abbagliato da grandi illusioni o dal confortante ritorno dello status quo antem, e che nel breve futuro dovrà farsi carico di ulteriori sacrifici.
Ma, soprattutto, sconfitta è la politica, da Tsipras a Mitsotakis, con la sua incapacità di plasmare le vite dei cittadini e delle cittadine e di dare concreta realizzazione alla propria alternativa di società, al di là della propaganda e dei buoni propositi. In un certo senso, con essa, ne esce sconfitta anche la democrazia liberale.
La piccola, grande storia politica greca dimostra infatti quanto l’alienazione di vastissime porzioni dell’elettorato abbia radici profonde, e mette in scena plasticamente tutte le storture e le disfunzioni legate ai sistemi democratico-liberali occidentali, stritolati tra neoliberismo feroce ed incapacità nel contrapporvi un’alternativa non populista o nazionalista. Non restano che l‘ottimismo della volontà e il pessimismo della ragione.
Luigi Iannone