La cooperativa Bosco Natìo nasce ufficialmente nel 2021 nel Vallo di Diano (SA) ed è composta da quattro saggi e alacri raminghi con un amore viscerale per la terra natìa che custodiscono da molto tempo: Davide Marra, Antonio Gaudino, Alessandro Cornelli e Sandro Di Stefano. Il loro modus operandi tenta d’armonizzare l’operato umano con il ciclo vitale dei biomi e di sradicare qualsivoglia logica che tolleri o peggio legittimi sia gli atteggiamenti di noncuranza sia lo sfruttamento arbitrario e scriteriato.
Negli anni a ridosso della Seconda Guerra Mondiale, Brecht ha scritto: «Quali tempi sono questi, quando discorrere d’alberi è quasi un delitto, perché su troppe stragi comporta silenzio?».
Oggi, ch’è in atto una guerra ambientale di cui non si può più tacere, i ragazzi di Bosco Natìo sono consci che colpire violentemente la natura è una strage a detrimento delle biodiversità e dell’umanità stessa. Dunque, mediante la loro necessaria lotta ecologica vogliono lanciare un messaggio cristallino: non saper parlare più di alberi è, in fondo, il vero delitto.
Di seguito l’intervista ai fondatori di Bosco Natìo:
Quali sono le motivazioni che v’hanno spinto a costituire la cooperativa Bosco Natìo?
«Le motivazioni sono molteplici e pongono radici profonde sia nel tempo sia nel saldissimo rapporto di condivisione che unisce noi membri fondatori. Sicuramente le forze che trainano il progetto sono l’amicizia fraterna e la passione comune verso molteplici attività che si strutturano sulle nostre differenti competenze e sul vitale rapporto con la natura; quest’ultimo è nato grazie all’amore per il trekking e per la musica. Naturalmente in un determinato frangente della nostra vita abbiamo deciso di concretizzare ciò soprattutto in chiave lavorativa, attraverso un lavoro che non fosse mera sussistenza ma anche sostentamento per il nostro animo e per i sentimenti che alimentano il nostro agire. Da ciò la scelta di costituire la cooperativa di lavoro Bosco Natìo».
Citando H. D. Thoreau: «Solo quando ci siamo perduti – in altre parole, solo quando abbiamo perduto il mondo – cominciamo a trovare noi stessi, e a capire dove siamo, e l’infinita ampiezza delle nostre relazioni». Pertanto, considerando l’ecosistema come un complesso attivo d’elementi che si muovono in un contesto comune e che s’influenzano reciprocamente, voi di Bosco Natìo nel vostro piccolo in che modo cercate di preservare un equilibrio ambientale sempre più alterato?
«Noi ci siamo smarriti più volte durante le nostre esperienze, nel vero senso della parola. Abbiamo iniziato come sprovveduti, semplicemente con zaino in spalla e tanta voglia di osservare e camminare spesso laddove non v’era civiltà. Sono proprio i momenti di smarrimento che ci concedono la possibilità di ritrovarci. Difatti viviamo un rapporto fanciullesco-sciamanico con la natura, una delle caratteristiche di Bosco Natìo è quella di ricercare la propria identità mediante il proprio animale guida. Avvicinandoci alla forma mentis degli animali e divenendone i portavoce proviamo a salvaguardarne l’esistenza. Pertanto, la possibilità di carpire informazioni sui processi biologici attraverso l’entomologia, la botanica e quant’altro, e la consapevolezza di poter produrre un pensiero etico rispetto agli altri esseri non-umani, ci pone nella condizione di tutelarli in quanto vittime dell’Anthropocene. È notevole il dislivello tra la portata e la rapidità dell’impatto umano e le capacità auto-regolative degli ecosistemi: il fattore umano, ahinoi, è sovrastante e perciò determina l’avvenire del pianeta Terra.
In virtù di ciò, Bosco Natìo fa suo il pensiero di Walt Whitman: anche il filo d’erba, in quanto intreccio di tempo e materia, rappresenta l’intero universo. La contezza di un’eterna ciclicità trasformativa ci porta a essere i guardiani della flora, della fauna, degli interi ecosistemi e, di conseguenza, dell’uomo stesso».
Nell’era dell’Anthropocene in cui imperversa una pervasiva mitologia aziendale e un consumismo feticistico, voi di Bosco Natìo avete attuato una scelta rivoluzionaria: radicarvi nella vostra terra e rivalorizzarla. Dunque, in conformità al principio di coappartenenza e nell’ottica di preservare le comunità biotiche e il vivere comune avete optato per attività essenziali come l’apicoltura, l’agricoltura ecocompatibile, la cura del patrimonio naturalistico-culturale e molto altro. Parlateci del vostro operato.
«La nostra scelta è senza dubbio contro-corrente. Già solo dal punto di vista economico-legale, la scelta di costituire una cooperativa e non un’azienda agricola deriva dalla necessità d’evitare forme gerarchiche stabilite e perciò propendere per un sano orizzontalismo che favorisca sia il lavoro manuale e immateriale dei singoli sia la possibilità di fare rete con altre cooperative, come ArcheoArte che si occupa di restauro ecologico, come Montefrumentario che tenta di recuperare le antiche sementi. Ma soprattutto intendiamo allontanarci dalla logica produttivistica dell’agricoltura intensiva e dal paradigma concorrenziale che vige tra le aziende, poiché ledono profondamente il rapporto uomo-natura.
Le nostre vocazioni tendono sia a una comunione tra lavoro e ambiente sia alla formazione d’una nuova prospettiva agricola basata sui bisogni reali; tutto ciò attraverso pratiche specifiche – work in process – come l’apicoltura, l’agricoltura biodinamica, i laboratori artigianali, la produzione di birra e sidro e, in più, la cura di varietà arboree autoctone come il pero lardaro e il melo limoncella. Ci siamo persino dedicati a delle coltivazioni sperimentali al fine di non adoperare mezzi agricoli alimentati da combustibili fossili bensì utilizzando esclusivamente arnesi manuali e animali da soma in modo da poter ravvivare e divulgare le antiche tradizioni.
Nel Vallo di Diano il fenomeno dello spopolamento è dilagante e ha molteplici cause, quali l’impossibilità di costruirsi un futuro, la paura di restare oppure la necessità di un’istruzione e un lavoro specifici. I principali problemi che affliggono il nostro territorio sono la staticità politica e l’inadeguatezza delle infrastrutture sociali, tutto ciò spesso lo rende invivibile soprattutto per le giovani generazioni. Però noi di Bosco Natìo abbiamo pensato di creare le condizioni per radicarci nella terra natìa e con ciò comunicare a tuttə la sua fecondità. Il nostro scopo è sensibilizzare e far riscoprire le nostre zone dall’inestimabile valore naturalistico-culturale, come per esempio la vetta più alta della Campania: il Monte Cervati. Ragion per cui abbiamo deciso sia d’istituire una sede organizzativa in un rifugio montano sia d’aderire al Club Alpino Italiano, in modo da poter riavvicinare alla biodiversità quelle persone con un rinnovato interesse per le escursioni e per il turismo lento e sostenibile. Tutto ciò è il frutto delle nostre volontà che si evolvono nel solco d’una lotta socio-ambientale».
L’attuale pandemia ha posto ulteriormente in evidenza la pericolosissima frattura metabolica nell’interazione uomo-ambiente, ma da tempo anche altri fenomeni causano conseguenze nefaste, in particolar modo la piaga dell’ecomafia. Difatti nel Vallo di Diano da poco è sorto il comitato R.E.S.T.A. (Rete Ecologia Salute Territorio e Antimafia) con lo scopo di contrastare l’ecocidio derivante dal business malavitoso-imprenditoriale e dall’indifferenza d’un ceto politico marcio e spesso gerontocratico. Dunque, Bosco Natìo in che modo s’inserisce in un contesto logorato da enormi criticità?
«Bosco Natìo non potrebbe non appoggiare le istanze enucleate dal comitato R.E.S.T.A. – di cui facciamo parte – poiché le atroci e degenerative dinamiche malavitose, in atto da più di trent’anni, hanno creato ora un evidente stato di emergenza.
Spesso quando avviene un evento traumatico le reazioni istintive di qualsiasi mammifero sono sostanzialmente due: restare e affrontare il pericolo o fuggire. Noi abbiamo deciso di restare e cercheremo in tutti i modi di dare una mano, nell’immediato e nel lungo termine, affinché s’affronti questa piaga e si garantisca una giustizia sociale e ambientale. Il nostro impegno passa attraverso la sensibilizzazione e il monitoraggio, perché se non conosci ciò che ti circonda e non ne apprezzi l’incontestabile bellezza difficilmente potrai prendertene cura.
Grazie a iniziative come il «Progetto Punto 0» è possibile individuare, mappare e nell’eventualità bonificare i siti contaminati per poi promuovere in loco attività ecocompatibili. Con ciò bisogna tutelare la salute collettiva, le vitali attività agricole-turistiche e l’incommensurabile patrimonio culturale-artistico ed enogastronomico. Quindi cerchiamo di stanziarci come presidio attivo sul territorio che parta dal basso e che contrasti l’ecomafia e il possibile disastro ecologico».
Bosco Natìo cerca in ogni modo di stimolare gli individui a vivere un rapporto simbiotico con la ricchezza biologica degli habitat circostanti. Pertanto, le vostre iniziative potrebbero dar vita a dei percorsi pedagogici che educhino – attraverso il valore trasformativo della natura – a un approccio olistico e che, di conseguenza, mutino i criteri dell’agire collettivo? A tal proposito, le vostre azioni si situano nell’orizzonte di un’etica socio-ambientale del futuro?
«Il nome Bosco Natìo rimanda a un luogo dell’anima che a sua volta ricorda il focolare domestico, perciò cerchiamo tramite la divulgazione di far sì che chiunque s’immerga nella natura possa sentirsi a casa. È fondamentale che le persone odano il richiamo della natura e avvertano il suo valore conoscitivo-trasformativo, superando il malsano e mendace dualismo uomo-natura. Dunque, mediante la condivisione del sapere tentiamo di seminare una connaturata consapevolezza e con ciò d’instillare nell’immaginario delle persone l’importanza di rispettare e di non aver paura degli elementi costituenti degli habitat circostanti. Bosco Natìo funge da ponte tra le persone e gli ecosistemi.
La fondazione di un’etica del futuro è strettamente connessa all’istruzione giacché le generazioni d’oggi saranno coloro che decreteranno le sorti del proprio presente. Un approccio pedagogico socio-ambientale è determinante nel rivalutare una conoscenza ecologica e le derivanti responsabilità individuali affinché sia possibile combattere l’indifferenza e il deterioramento ambientale».
L’ecoattivismo di Bosco Natìo traccia un punto di desaturazione delle norme sociali dominanti, sprigiona un moto di liberazione d’energia e di contro-potere, stabilisce un rinnovato contatto con le radici terrestri e con i nodi, spesso irrisolvibili, del reale. L’azione trasformativa di chi lotta senza tregua non ha origine da un’idea del mondo per come dovrebbe essere, ma dal conflitto con il mondo per com’è. Un conflitto con l’esistente radicato nelle situazioni, nel contingente e nel molteplice. Bosco Natìo incarna una lotta ecologica, etica e culturale.
Bosco Natìo emerge in quanto risultante d’un tenace pragmatismo socio-ambientale, in quanto espressione d’una presa di coscienza al di là delle singole individualità e in quanto esempio di duttilità e radicamento nel proprio contesto storico-sociale. In ciò si manifesta la libertà come eccesso desiderante, come ambizione imperitura, come dinamica rivoluzionaria. Del resto, la libertà è una frontiera oltre la quale bisogna rischiare, con tutte le incertezze; è una scommessa, è un agire sul bordo abissale dell’esistenza: un risveglio di sé come parte dell’universale.
«Por donde saldrá el Sol?» (Da dove sorgerà il Sole?) si domandavano gli indigeni americani. Questa è la speranza che nasce avvolta dalle tenebre. Urge aguzzare lo sguardo per intuire da dove spunterà la luce, senza aver troppa paura dell’ombra. Luce e ombra si susseguono e non si tratta di fantasticare su un altro tempo o luogo, ma di creare, lottare, pensare e resistere mediante il proprio presente. Vivere per e attraverso l’epoca oscura: la gioia può nascere quand’è concessa la possibilità d’affrontare le sfide del proprio tempo.
Nella lotta si è già più liberi, forse resistere e creare sono le uniche concrete possibilità che permangono. Da qui, forse, sorgerà il Sole.
«Se sei un uomo libero allora sei pronto a metterti in cammino». (H. D. Thoreau).
Gianmario Sabini