Eletto inaspettatamente alla guida del Parlamento Europeo, David Sassoli (PD) ha già fatto capire in che direzione si muoveranno le riforme dell’UE sotto la sua presidenza. Nel corso della conferenza stampa di presentazione, infatti, il neo presidente ha dichiarato che uno dei primi obiettivi riguarderà la revisione del regolamento di Dublino, convenzione internazionale che regola i rapporti tra gli Stati in tema di fenomeni migratori.
Un argomento più che mai attuale, visto che anche gli ultimi fatti di cronaca (vedi il caso Sea Watch) hanno palesato la netta divisione dell’opinione pubblica in merito. Proprio per questa ragione, è bene spiegare nel dettaglio cosa si intende per ”regolamento di Dublino”, al fine di comprendere come mai la sua ridiscussione sia stata inserita fra le priorità dell’Unione Europea.
Regolamento di Dublino: cos’è e quando venne stabilito
Come da definizione, il regolamento di Dublino è una “convenzione sulla determinazione dello Stato competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri delle Comunità Europee“. In sostanza, esso stabilisce in che modo dovrebbe comportarsi uno Stato nel momento in cui gli dovesse pervenire una richiesta di asilo. Firmato il 15 giugno del 1990, è un trattato di tipo plurilaterale e fu inizialmente noto come “sistema di Dublino”, visto che fu sancito proprio nella capitale irlandese.
I dodici Stati che sedettero al tavolo furono Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna e Regno Unito. L’entrata in vigore, invece, è risalente al primo giorno del settembre 1997. Dopo alcune modifiche che nel 2003 diedero vita al regolamento di Dublino II, nel 2013 vide la luce il regolamento di Dublino III, al quale però non aderì la Danimarca. Quest’ultimo – quello cui noi oggi ci riferiamo con “regolamento di Dublino” – si basa sugli stessi principi dei due precedenti e stabilisce che il primo Stato membro in cui un rifugiato presenta richiesta di asilo è responsabile della richiesta stessa.
Perché ridiscutere il regolamento di Dublino: i punti critici
Il regolamento di Dublino è stato pensato principalmente per due motivi: arginare il cosiddetto “asylum shopping” (il fenomeno, cioè, legato a quei rifugiati che presentano richiesta di asilo in più Stati membri); ridurre il numero dei migranti che, per una serie di motivi (burocratici), vengono trasportati senza meta da uno Stato membro all’altro.
Accade spesso, però, che qualche migrante abbia difficoltà nell’accedere alle procedure per richiedere asilo: questi sono casi in cui le garanzie e i diritti dei rifugiati vengono seriamente messi a rischio, facendo dunque sì che i richiedenti vengano trattati in maniera iniqua. Di questo avviso sono il Consiglio Europeo per gli Esuli e i Rifugiati (ECRE) e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), secondo i quali il regolamento di Dublino non garantirebbe una protezione equa, appunto, per tutti i richiedenti asilo. Le due organizzazioni hanno dimostrato, infatti, come la convenzione impedisca i diritti legali e il benessere personale dei migranti.
Ma le falle del regolamento di Dublino sono emerse soprattutto nel 2015, quando la grave crisi migratoria ne comportò una sospensione parziale. L’ondata di profughi proveniente dall’Asia travolse l’Ungheria, che non fu solo il punto di arrivo di molti, ma fece anche da “ponte” verso altri Paesi dell’Unione Europea per tantissimi migranti. Tuttavia, come da regolamento, questi ultimi dovettero fare un passo indietro, dato che i loro casi erano teoricamente di competenza ungherese. Nello stesso periodo, anche la Germania sospese il regolamento per i profughi siriani, determinando così una forte messa in dubbio del regolamento stesso.
La posizione di Sassoli
Come detto, David Sassoli si è dichiarato più che disponibile a ridiscutere il regolamento di Dublino. Anzi, nella conferenza stampa che abbiamo già citato, il neo presidente ne ha parlato come di un vero e proprio “dovere morale”: «Sapete quanta tensione si crei attorno alla non gestione della questione migratoria: i cittadini si chiedono l’UE dov’è. L’Europa si deve attrezzare e i governi devono trasferire un po’ di potere all’Europa, devono collaborare di più», ha aggiunto.
Risulta dunque chiara la posizione di Sassoli, che chiede a tutti gli Stati membri di fare un passo verso l’Europa e di collaborare allo scopo di risolvere una situazione che si fa sempre più complicata. Così testimoniano anche i recenti casi d’attualità, come quello della Sea Watch, che Sassoli ha commentato in questo modo: «Salvare le vite in mare è un dovere e chi lo fa non può e non deve essere perseguito. Nel caso della Sea Watch, ci sono tuttavia profili giuridici ancora aperti e spetta alla magistratura italiana verificarli e dire l’ultima parola».
Di tutt’altro avviso rispetto al vicepremier Salvini, che sul regolamento di Dublino ha sibilato qualche giorno fa: «Ci stiamo attrezzando per ridiscuterlo da soli». Insomma, non proprio lo stesso spirito di collaborazione ipotizzato da Sassoli. Ma sarà proprio su questo campo che si giocherà la partita più importante: se è vero che alcuni Paesi (come Repubblica Ceca, Ungheria, Slovacchia e Polonia) hanno negato la propria disponibilità a sedersi di nuovo al tavolo delle trattative, rifiutando di introdurre quote “fisse” e causando perciò una distribuzione iniqua dei migranti, appare fondamentale la creazione di un sentimento di coesione fra gli Stati membri.
Anche perché una situazione simile è risolvibile solo con il dialogo: mettersi davanti a uno specchio (o davanti a un muro, per chi lo preferisse) e parlare da soli non ha mai portato a nulla di buono.
Samuel Giuliani