Nel panorama musicale nostrano, quello dei Watt è uno dei casi di «nomen omen» forse più riusciti degli ultimi anni: l’unità di misura assunta dal giovane complesso musicale composto da Greta Elisa Ravelli Rampoldi (voce), Luca Vitariello (chitarra), Luca Corbani (basso e voce) e Matteo Ravelli Rampoldi (batteria) come appellativo per presentarsi, è un richiamo implicito alla loro concezione dell’arte della musica che, nel loro caso, assume i connotati di una miscela coinvolgente ed esplosiva capace di trasmettere carisma e mordente fin dal primo impatto uditivo.
La formula utilizzata dai Watt è quella più riposta e insieme più favorevole alla condivisione: l’autenticità del racconto in note di porzioni del multiforme universo giovanile suscita empatia all’ascolto, generando feed back positivi in una fascia di pubblico nel complesso eterogenea. Dal punto di vista prettamente stilistico, i brani ad oggi pubblicati sono caratterizzati da un’alternanza di combinazioni sonore dai ritornelli calzanti e dalle sezioni ritmiche dinamiche in un mood melodico pop che strizza l’occhio alla scena rap e urban nazionale.
Sono queste le peculiarità che canzone dopo canzone, esibizione dopo esibizione hanno reso il collettivo meneghino una realtà musicale da tenere sicuramente sott’occhio. Il fermento dei Watt ha i ritmi di un cantiere senza sosta che neanche la pandemia in atto è riuscita a fermare, tant’è che di recente sono tornati alla ribalta con un nuovo singolo intitolato “Hey” distribuito da Artist First.
Anche se una relazione è ormai giunta al capolinea, i ricordi (corse per prendere il treno in Centrale, pomeriggi alle Colonne) che ne derivano ci appartengono: sono esperienze che non dobbiamo assolutamente rimuovere in quanto parte integrante della persona che siamo. In attesa che il tempo riservi loro il posto che meritano, inizialmente ne soffriremo; presa coscienza del mutamento, emozioni controllate e sane avranno il sopravvento, ristabilendo una volta per tutte la tanto agognata pace dei sensi.
Scopriamo qualcosa in più sui Watt e sul loro nuovo capitolo musicale nell’intervista rilasciata dal quartetto milanese:
Malgrado, con molta probabilità, la somma dell’età di tutti e quattro voi componenti dei Watt non arrivi al numero dei palcoscenici che avete avuto modo di solcare, la vostra unione suggella una maturità artistica e una sicurezza esecutiva da vendere. Qual è il vostro segreto?
«Non celiamo alcun particolare segreto, se non il comune amore per la musica e per tutte le sue sfaccettature. La passione è il fuoco che arde, la forza motrice che mette in moto tutto il resto: è da dove parte l’idea, il progetto. Spinti dal forte desiderio di suonare, abbiamo avuto modo di eseguire i nostri brani in svariate piazze di fronte a migliaia di persone, ma anche in locali all’una di notte con davanti una nicchia ristretta composta dai nostri genitori ed amici. La condivisione di questi momenti con il pubblico, più o meno ampio che sia, è la ragione dell’essere artista: una canzone esiste solo per il tempo in cui è prodotta ed eseguita dal musicista.»
Dall’ascolto del vostro ultimo inedito, è possibile scorgere un lato, se vogliamo, più intimo dei Watt al quale non eravamo prima d’ora abituati. Quali sono stati gli spunti che hanno dato centralità allo sviluppo così sofisticato ed armonico di “Hey”?
«“Hey” vuole sì essere un singolo spensierato, ma con quel pizzico di malinconia che da sempre ci caratterizza e accompagna. Oltre che dalla vibrazioni trasmesse sotto forma di onde sonore e dal meccanismo di produzione vocale utilizzato antitetico rispetto vi avevamo finora abituati, il ricercato intimismo è dettato, in primis, dai rumori della nostra Milano di sottofondo che abbiamo volutamente inserito nell’introduzione e, in secondo luogo, dal suono di un piano stonato (quello di casa Rampoldi, dimora del nostro batterista e della nostra cantante). Il nostro obiettivo è dare un senso di amarezza ad una melodia rassicurante e, al contempo, una sensazione di comfort e tranquillità.»
In riferimento alle tematiche trattate nel brano, una rottura ci lascia spiazzati, soli ed insicuri di fronte alle incertezze dettate dall’imminente cambiamento. Perché appare così complicato rendersi conto che la fine, altro non è che il principio di una nuova tappa?
«Abbandonare il nido che fa sentire al sicuro – in questo caso rappresentato da una relazione di coppia – è una patata bollente da pelare: dal momento che rappresenta un’incognita, avvertire il cambiamento incute un certo timore. Una volta preso coraggio e accettata la realtà per come è, ci si rende conto della miriade di possibilità che possono venirsi a creare al di fuori della bolla sicura. Il discorso vale anche in ambito musicale: sperimentare non è semplice in quanto potrebbe arrecare un danno alla propria immagine e, quindi, non rappresentare la migliore delle opzioni possibili. Noi Watt siamo del parere che comunque vada vale sempre la pena buttarsi: o lo si fa, o si rimane fermi dove si è.»
Se è vero che la musica parla ai giovani, è anche vero che la musica parla dei giovani. In tal senso, può, a vostro parere, essere intesa come un valido indicatore per comprendere al meglio le esigenze e le problematiche delle nuove generazioni?
«Non possiamo che non essere d’accordo. L’arte della musica è una valida alleata al fine di capire il mondo interiore di chi parla attraverso essa. Le canzoni esprimono in maniera netta le pulsioni, le paure e, perché no, gli scheletri nell’armadio: un attento ascolto implica l’accettazione dell’altro come persona, significa dargli valore e riconoscerne la dignità. Il vero trucco per capire la generazione Z? Imparare ad ascoltarla con due orecchie invece che con una!»
Vincenzo Nicoletti