La storia dell’Afghanistan che ci viene raccontata in questi giorni è la storia di un Paese dimenticato e sprofondato in una crisi umanitaria senza precedenti dopo la presa di Kabul da parte delle milizie talebane. L’inverno sempre più rigido e i casi di malnutrizione in continuo aumento hanno ridotto l’Afghanistan allo stremo: l’economia è drammaticamente collassata e persiste un gravissimo stato di emergenza, come denunciato da numerose organizzazioni non governative. L’Onu, intanto, ha predisposto un massiccio piano di aiuti per fronteggare almeno in parte la catastrofe umanitaria.
Tuttavia, mentre milioni di bambini sono attanagliati dai morsi della fame e del freddo e le strutture sanitarie sono sull’orlo di una crisi, gli Stati Uniti trattengono 9,5 miliardi di dollari appartenenti alla Banca Centrale Afghana. Il governo di Washington, che non riconosce l’Emirato Islamico, non ha intenzione di cedere il denaro al nuovo regime talebano, a causa del quale si teme che il Paese possa tornare a essere un “narco-Stato” e un paradiso per i terroristi. Anche il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, spinti dagli stessi motivi, hanno sospeso i loro aiuti economici al governo talebano.
Ma a pagare il prezzo più alto di queste decisioni è ancora una volta, come da decenni a questa parte, il popolo dell’Afghanistan, che dipende per il 75% dagli aiuti internazionali.
Una situazione che è andata aggravandosi a causa dell’inflazione, il cui tasso è salito in modo spropositato negli ultimi mesi, rendendo l’acquisto di beni di prima necessità un vero e proprio lusso e costringendo tantissime famiglie ad abbandonare i propri figli per avere accesso a un po’ di cibo e acqua. La fame non ha risparmiato nemmeno i bambini, costringendoli a lasciare le aule scolastiche e a cercare un lavoro.
Intanto, nelle strutture sanitarie di Herat aumentano a dismisura i casi di malnutrizione, cresciuti del 40% tra maggio e settembre rispetto allo stesso periodo del 2020.
«A causa dei mancati finanziamenti, le strutture mediche della zona stanno chiudendo o sono ridotte a fornire servizi minimi sfruttando tutte le risorse disponibili. Non abbiamo alcuna prospettiva su ciò che accadrà a queste strutture. La gente è povera e senza lavoro, non può permettersi cure private, e alcune delle organizzazioni umanitarie che prima lavoravano nella zona devono ancora riprendere pienamente le loro attività. I bisogni sono ovunque mentre il sistema sanitario sta crollando», testimonia Mamman Mustapha, ex capo progetto di Medici Senza Frontiere a Herat.
La più grande richiesta di aiuti nella storia dell’Onu per fronteggiare la crisi umanitaria in Afghanistan
Proprio per far fronte a tali problematicità, martedì 11 gennaio, durante una conferenza stampa a Ginevra, l’Onu ha lanciato l’imponente piano Afghanistan Humanitarian Response, grazie al quale saranno messi a disposizione 5 miliardi di dollari per il soccorso umanitario di 22 milioni di afghani e di 5,7 milioni di profughi in Iran e in Pakistan. Si tratta della più grande richiesta di aiuti nella storia dell’Onu per un singolo Paese. Un dato, questo, che non può certo lasciare indifferenti e che esplicita la portata dell’imminente catastrofe.
«I partner umanitari sono sul posto e stanno fornendo assistenza nonostante le sfide. Aiutateci ad aumentare la risposta e a evitare la fame diffusa, le malattie, la malnutrizione e in ultima analisi la morte, sostenendo i piani umanitari che lanciamo oggi», ha dichiarato concitatamente Martin Griffiths, sottosegretario generale delle Nazioni Unite per gli affari umanitari. «Si profila una vera e propria catastrofe umanitaria. Il mio è un messaggio urgente: non chiudete le porte al popolo afghano».
Melissa Sellitto