Lo Sri Lanka è sempre stato considerato uno dei Paesi in via di sviluppo da cui gli altri, almeno per quanto riguarda l’economia, dovevano prendere spunto. Ma è proprio lo stato dell’economia ad aver acceso la miccia di una crisi politico-istituzionale: l’economia subire un vistoso tracollo a partire dal 2020 per poi precipitare completamente a luglio 2022, a seguito della cattiva gestione e fuga del potente presidente Gotabaya Rajapaksa.
Il regno della famiglia Rajapaksa
La famiglia Rajapaksa ha detenuto il potere in Sri Lanka per due decadi con Mahinda Rajapaksa – primo ministro e poi presidente dal 2005 al 2015 – che ha poi concesso più o meno legittimamente molte posizioni di potere dello Stato ai vari membri della proprio famiglia. Nel 2019, dopo un breve interregno, la famiglia riprende il potere grazie a Gotabaya Rajapaksa, l’ormai ex presidente in fuga. La popolazione singalese non ha mai accettato del tutto che il potere venisse detenuto totalmente da un sistema di potere familistico e in odor di corruzione.
Con l’arrivo della pandemia da Covid-19, l’economia ha cominciato a vacillare a causa del blocco degli ingressi turistici. Il livello dell’inflazione ha stretto in una morsa il Paese, fino a portare i vertici dello Stato a bloccare temporaneamente il pagamento dei debiti che ha con le altre Nazioni. Il mancato rifornimento di materie prime importato dagli altri Paesi e l’aumento dei prezzi dell’energia causata dalla guerra tra Russia e Ucraina ha spinto la popolazione a dare il via ad una serie di proteste popolari, che chiedevano la famiglia regnante lasciasse il governo. Il presidente Gotabaya Rajapaksa, in risposta, ha deciso di deporre i suoi familiari dalla posizione di membri del gabinetto di Stato, tra cui il fratello Mahinda Rajapaksa che ricopriva la carica di Primo Ministro. Mentre in Sri Lanka le persone sono costrette a chiudere le scuole e fermare i trasporti per risparmiare gas, staccare la corrente elettrica, tagliare i salari e fare a meno delle medicine perché non ce ne sono più, il governo sostiene che la situazione sia sotto controllo e che non c’è nulla di cui preoccuparsi.
Le proteste, iniziate già a marzo, si sono spinte fino alla residenza del presidente, che è fuggito, il 12 luglio scorso, a bordo di un areo militare verso Maldive, lasciando il Paese senza un capo di governo. Secondo la legislazione dello Sri Lanka, quando il presidente lascia l’incarico senza dimettersi ufficialmente, il potere passa nelle mani del Primo Ministro, ovvero Ranil Wickremesinghe. Solo successivamente il Parlamento dovrà votare per eleggere il nuovo presidente.
È in questo momento di transizione che il Paese crolla ulteriormente nel caos: gli srilankesi si sono riversati nelle strade dove i militari utilizzano gas lacrimogeno per disperderli. La repressione non ha funzionato: gli insorti sono riusciti a prendere possesso dell’ufficio del Presidente e dell’abitazione del Primo Ministro scrivendo sulle mura dei palazzi del potere “aperto al pubblico”. Il 14 luglio arrivano via email le dimissioni ufficiali del presidente, che nel frattempo si era spostato dalle Maldive a Singapore. Dopo questo importante segnale, i manifestanti lasciarono le sedi del governo, lasciando il compito ad alcuni volontari di ripulire gli spazi occupati, con queste parole: «vogliamo preservare questi luoghi e non vogliamo che le persone vandalizzino o che lo Stato usi la scusa degli atti vandalici per vanificare la nostra protesta, quindi è meglio lasciare questi luoghi allo stato dello Sri Lanka, non al presidente». Ad affermarlo è Buwanaka Perera, uno dei protestanti, intervistato dal New York Times.
Nel frattempo, il presidente in carica Ranil Wickremesinghe, da sempre considerato dalla popolazione un sostenitore della famiglia Rajapaksa, in un’intervista alla CNN prende le distanze dall’ex presidente accusandolo di aver nascosto che lo Sri Lanka era in bancarotta e, di conseguenza, sarebbe dovuto andare al Fondo Monetario Internazionale. Lo scorso 4 settembre Gotabaya Rajapaksa ha fatto ritorno in Sri Lanka dopo 50 giorni trascorsi spostandosi tra le Maldive, Singapore e Thailandia, gettando nuovamente ombre sul futuro politico del Paese.
La situazione economica in Sri Lanka
Il presidente attualmente in carica Ranil Wickremesinghe è riuscito ad ottenere accordo preliminare dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) per un prestito di 2.9 miliardi di dollari. L’accordo è un piano di quattro anni che aiuterà lo Sri Lanka ad introdurre nuovi prezzi per il gas e il carburante, incoraggiare il consolidamento finanziario, aumentare la spesa pubblica e rinforzare l’autonomia delle banche centrali. Il Fondo Monetario Internazionale ha posto come condizione al prestito di ricevere una garanzia finanziaria dai creditori ufficiali del Paese e di ottenere un’accordo anche con creditori privati. L’accordo sancisce che «partendo da uno dei Paesi con le entrate più basse al mondo, il programma cercherà di incrementare le riforme sulle tasse». I prestiti che riceverà si stima oscillino tra gli 85 miliardi di dollari e i 100 miliardi o più.
La situazione del credito con le nazioni a cui lo Lo Sri Lanka deve ripagare i debiti sarà cruciale, altrimenti l’accordo con l’FMI non potrà partire. Tra i paesi creditori, il Giappone aveva proposto di far da intermediario in un tavolo negoziale insieme all’India e alla Cina. Sembra che la Banca Mondiale abbia stimato un prestito dalla Cina di 7 miliardi di dollari, il Giappone 3,5 miliardi di dollari mentre l’India ha concesso solo 1 miliardo di dollari. Ad ogni modo, non ci sono ancora sicurezze.
Talora non riuscissero a trovare una soluzione, la situazione economica nel Paese potrebbe peggiorare ulteriormente. Adesso, secondo uno studio delle Nazioni Unite, si stima che i 22 milioni di singalesi siano in difficoltà anche a provvedere a necessità basilari come reperire cibo e acqua potabile, anche a causa della crisi economica e dell’inflazione è al 64%.
Gaia Russo