Dove si voterà nel 2022 Elezioni 2022 Francia USA Brasile
Fonte immagine: Frederico Mellado/Wikimedia Commons

Il 2022 sarà un anno ricco di sorprese, almeno dal punto di vista elettorale. Dalle elezioni di metà mandato (midterm) negli USA alle presidenziali in Francia, passando per il “momento della verità” in Brasile tra Bolsonaro e Lula. Un occhio di riguardo meritano anche le amministrative in Italia (si vota in oltre mille comuni) e alle elezioni del Capo dello Stato in Corea del Sud. Insomma, le elezioni 2022 racconteranno i cambiamenti politici in corso in diversi Paesi del mondo.

Il periodo è sicuramente significativo. Da due anni a questa parte la pandemia tiene con il fiato sospeso miliardi di cittadini, i quali si rifugiano nelle istituzioni in attesa di risposte. Inoltre, la situazione internazionale è sicuramente molto tesa: dal pericolo invasione sul fronte orientale, dove Europa, Russia e USA sono ai ferri corti, al precario equilibrio in Estremo Oriente, dove la Cina ha messo nel mirino Taiwan, suscitando le ire di Joe Biden e dello stato maggiore USA.

Gli appuntamenti elettorali sono cominciati con l’elezione del Capo dello Stato italiano, avvenuta tra fibrillazioni politiche e scrutini andati a vuoto, e sono proseguiti con le elezioni anticipate in Portogallo, dove tiene banco l’ultimo forte Partito Socialista europeo. Non manca molto alle presidenziali francesi, i cui due turni sono previsti per il 10 e il 24 aprile (senza contare il rinnovo del Parlamento previsto due settimane dopo quello del Presidente). Non vanno sottovalutate nemmeno le elezioni in Austria, dove l’enfant prodige della destra europea, Sebastian Kurz, ha lasciato la politica per dedicarsi alla famiglia.

In queso scenario le elezioni 2022 assumono un ruolo fondamentale. Da un lato, con la probabile fine dell’era dei leader “trumpiani doc” come Bolsonaro in Brasile e Rodrigo Duterte nelle Filippine, si concluderà un periodo in cui la violenza, fisica e verbale, e l’autoritarismo hanno avuto la meglio sulle pratiche democratiche. Dall’altro, gli appuntamenti europei con le urne saranno un importante indicatore per comprendere in che direzione soffierà il vento europeo: se verso il futuro o il nazionalismo degli anni bui. Infine, con le elezioni di metà mandato, le quali tradizionalmente si sono sempre risolte in un fiasco per il partito al potere, chiariranno se l’amministrazione democratica possa avere un futuro anche dopo il 2024.

Francia e USA alla prova del voto

Il 2022 sarà l’anno cruciale di Emmanuel Macron. Mancano meno di cento giorni alle presidenziali, in calendario per il 10 e il 24 aprile. La Francia, inoltre, presiederà fino a giugno il Consiglio dell’Unione Europea. Si tratta di un semestre delicato, con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Il francese ha cercato più volte di mediare, facendosi portavoce di un possibile incontro tra Vladimir Putin e Joe Biden, in cui i due avrebbero dovuto discutere per evitare un’escalation della crisi. L’inizio delle ostilità ha assestato un duro colpo alle ambizioni di Macron, rendendo altresì evidente come l’unica iniziativa europea prima della guerra si sia risolta in un fallimento clamoroso. A ciò si deve necessariamente aggiungere una riflessione più ampia concernente la totale assenza di una politica estera comune, coordinata dalle istituzioni europee, le quali dall’inizio della crisi hanno preferito seguire le direttive di Washington. L’isolata (e inutile) iniziativa di Macron è l’emblema di quanto l’Unione Europea sia ancora un “nano politico“, incapace di imporsi sullo stesso piano di Russia e Stati Uniti come un soggetto unitario e in grado di elaborare una propria linea politica, indipendente dall’atlantismo euro-americano che, in queste situazioni, mostra tutti i suoi limiti.

Non si può negare che negli ultimi anni il Presidente della Francia sia risultato molto attivo sul fronte estero, soprattutto in Europa. Nel suo discorso di fine anno è riuscito a coniugare le sfide europee con quelle interne, riuscendo a trasformare le due competizioni nel suo programma elettorale. Macron è l’unico in grado di “cambiare l’Europa” e di salvarla dal sovranismo euroscettico, dannoso per il futuro della Francia, rappresentato da Marine Le Pen e soprattutto da Eric Zemmour.

Si preannuncia una competizione molto accesa in Francia. Nonostante lo spazio politico a destra sia affollatissimo, la sua pericolosità non va sottovalutata. Per questo motivo Macron sta usando anche argomenti suscettibili di essere al centro della propaganda dei suoi avversari. Dalla sicurezza al rafforzamento delle frontiere, negli interventi pubblici l’attuale Capo di Stato della Francia parla davvero di tutto. Tra i suoi progetti c’è anche la riforma di Schengen, il caposaldo della libera circolazione europea, la quale, se non in grado di garantire una vigilanza efficace delle frontiere, andrebbe riformata secondo Macron. Il ricorso a questi argomenti ha spinto molti a credere che la strategia elettorale dell’ex banchiere, cioè puntare sull’europeismo fermo ma critico in alcuni casi, punti a diminuire la competitività della destra francese togliendole gli argomenti più scottanti e suscettibili di generare consenso.

Dall’altro lato dell’Atlantico c’è un Presidente in difficoltà. Negli USA di Biden le cose non stanno andando per il meglio. La popolarità del Presidente è molto bassa ma il virus c’entra poco. La situazione interna vede un’inflazione che torna a infastidire la classe media, nonostante la crescita, mentre la situazione internazionale non lascia ben sperare. Superato lo shock dell’Afghanistan, che negli USA non è stato sicuramente percepito così negativamente come in Europa, le tensioni con la Russia e la competizione con la Cina sono soltanto due dei motivi per cui la sua amministrazione si sta dimostrando molto confusionaria.

Sul fronte interno la maggioranza risicata al Senato (50 e 50 ma con il voto decisivo di Kamala Harris, la vicepresidente) e una manciata di deputati in più alla Camera dei Rappresentanti non garantiscono a Biden sufficiente libertà di movimento. Il recente passo falso nella Camera alta, con i repubblicani che hanno bloccato il provvedimento per la difesa del diritto di voto che contiene le norme del Freedom to Vote Act e del John Lewis Voting Rights Advancement Act, rappresenta una vera e propria sconfitta dei democratici e del Presidente stesso, il quale si è fatto portavoce di questo importante provvedimento.

A diciotto mesi dal voto del midterm, l’amministrazione Biden non appare in buona salute. Complice la litigiosità interna del Partito Democratico degli USA, con la sinistra che è totalmente insoddisfatta delle misure sociali adottate dal governo, il Presidente più che rispondere con pragmatismo sembrerebbe stia subendo gli eventi interni e internazionali. Non è una buona notizia per il futuro, soprattutto quello più lungo. Il rischio è che gli ultimi due anni di governo si svolgano sulla tradizionale falsariga dell’anatra zoppa (lame duck) che, come un fantasma, tormenta la metà del mandato dei presidenti degli USA. Una prospettiva che, nel lungo periodo, rivitalizzerebbe le ambizioni presidenziali, mai sopite peraltro, di Donald Trump, il quale non ha alcuna intenzione di prendere le distanze dalla politica e soprattutto dal Partito Repubblicano.

L’ora della verità in Brasile

Spostandosi sotto l’equatore, le elezioni 2022 interesseranno un altro grande Paese, al centro delle cronache per delle scelte poco condivisibili in Amazzonia e durante la pandemia, il Brasile di Bolsonaro. Non per caso definito il “Trump del Sudamerica”, il Presidente brasiliano già minaccia di non riconoscere il voto nel caso in cui non fosse adottato il sistema di voto cartaceo, meno soggetto a frodi rispetto a quello elettronico, secondo il Presidente.. La proposta è stata respinta dalla Camera di recente.

Il Presidente del Brasile è nervoso. Le elezioni del 2022 potrebbero rivelarsi una completa disfatta per la sua amministrazione. Nel giro di un solo anno l’indice di approvazione del suo governo è sceso dal 63% al 27%. Anche i sondaggi non sorridono al Presidente: le intenzioni di voto sono scese al 21%. Inoltre, il Capo di Stato brasiliano ha un altro problema: Inacio Lula de Silva. Presidente dal 2003 al 2010 Lula è stato diversi anni in carcere a causa di un’inchiesta che in molti giudicano “politica”. Ne è uscito riabilitato e ora si candida ufficialmente per le prossime elezioni presidenziali. Al contrario di Bolsonaro, i sondaggi danno l’ex Capo dello stato al 48%.

Per questo motivo negli ultimi mesi Bolsonaro sta attuando un serio e preoccupante attacco alle istituzioni democratiche con l’obiettivo di indebolirne la legittimità. Prima la magistratura, ora l’opposizione: l’obiettivo è quello di cambiare la legge elettorale. Sull’operato dell’attuale Presidente del Brasile, però, ci sono commenti contrastanti. Negli ultimi mesi Bolsonaro è sceso in piazza attaccando un po’ tutti, creando un consenso che nel Paese reale non c’è più da tempo. L’obiettivo è quello di creare un malcontento fittizio nei confronti delle istituzioni generando quel caos necessario a innescare un golpe. A questo si arriverebbe attraverso il ricorso al Glo (Garanzia di Legge e Ordine), una sorta di stato d’emergenza che permetterebbe al Capo dello Stato del Brasile di disporre delle forze armate.

Le prospettive future paiono non sorridono al Brasile. Finora le istituzioni democratiche hanno resistito al continuo arrembaggio del Presidente. Non si sa se queste possano resistere anche a un tentativo di golpe, che appare comunque improbabile. Il Brasile, quindi, rimane sospeso tra un limbo di inattività parlamentare e di democrazia autoritaria, molto pericoloso per l’equilibrio sociale e politico.

Donatello D’Andrea

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