Cina e Stati Uniti allo scontro per l'egemonia globale. Come andrà a finire?
Fonte: asia.nikkei.com

Cina contro Stati Uniti: lo scontro geopolitico del secolo, corre sul filo di nuove accuse e controrepliche. Dopo un’apparente rilassamento nella guerra commerciale la tensione torna a livelli di allerta per la pandemia da Covid-19. Molteplici i teatri dello scontro che permea con predominanza le relazioni internazionali, totale ma a bassa intensità, perché mitigato dalla rispettiva prudenza diplomatica e strategica. La posta in gioco è l’egemonia globale, impensabile in un mondo ormai multipolare.

Da Nixon a Trump, da Mao a Xi: il ping-pong sino-americano

Dispiegatosi con particolare rilevanza geopolitica a partire dalla Guerra Fredda, il rapporto tra Cina e Stati Uniti è stato segnato da significative e ondivaghe fluttuazioni, seconde per intensità solo ad un match professionistico di ping-pong: non si tratta di un riferimento casuale, come vedremo.

Emergendo faticosamente dai disastri socio-economici del “secolo della vergogna e delle umiliazioni” (dalla prima guerra dell’oppio, che segnò l’avvio del colonialismo “informale” europeo, fino alla guerra civile e all’aggressione imperialista giapponese), il Paese del dragone, dilaniato, fragile e arretrato, si abbandona alla trionfante rivoluzione maoista nel 1949, anno di proclamazione della Repubblica Popolare: la nazione più popolosa del mondo raccoglie la gravosa eredità di baluardo “avanguardista” del comunismo internazionale. Le peculiarità ideologiche e strategiche così marcate e le dimensioni geografiche e demografiche sono imponenti e tali da porre il Paese ben presto in frizione con la stessa Unione Sovietica, per distaccarsi dalla sua orbita già nel 1961.

Cina
Cartoon satirico sulla spartizione coloniale della Cina comparso sul “Petit Journal”.
Fonte: wikipedia.com

Ad accogliere a braccia aperte il riottoso ed eclettico Mao Zedong, colpo di scena, fu il presidente americano Richard Nixon, metaforicamente, e non solo, dall’altra parte di un tennistavolo. Una partita amichevole di ping-pong tra giocatori statunitensi e cinesi si disputa a Pechino il 14 aprile 1971, per celebrare lo storico incontro diplomatico sino-americano che si terrà, con grande enfasi, l’anno seguente.

Prende forma la cosiddetta diplomazia del ping-pong, a suggello di relazioni diplomatiche ispirate innanzitutto a una cinica valutazione strategica: la Cina, nonostante il potenziale economico immenso, era a pieno titolo un Paese sottosviluppato, isolato da un punto di vista diplomatico, alla ricerca di spazi di agibilità internazionale e di investimenti, mentre gli Stati Uniti rivestivano il ruolo di potenza egemone del mondo capitalista-occidentale contrapposta all’URSS, e tentavano di stringere il cappio al collo dell’allora super-potenza rivale.

Il campione mondiale di ping-pong, Zhuang Zedong. Fonte: eurosport.it

La metafora del ping-pong descrive efficacemente anche l’aspetto imprevedibile di una relazione dialetticamente tensiva, interessata da continui rimbalzi diplomatici, nonché da una latente rivalità di tipo agonistico. Le marcatissime differenze ideologiche e culturali, così come la volontà di collaborazione e convivenza, resteranno tali anche oltre la fase di “intransigenza rivoluzionaria” maoista, a prescindere dalle presidenze americane, poiché i rapporti di forza e la convenienza reciproca lo caldeggiavano.

A partire dagli anni ’90, culmine della fase distensiva nei rapporti sino-americani, la Cina è interessata da un’impetuosa crescita socio-economica, scaturita dalle liberalizzazioni del “socialismo con caratteristiche cinesi” di Deng Xiaoping e dall’afflusso di capitali stranieri: l’ascesa geopolitica e la rinnovata proiezione globale della Repubblica Popolare inasprisce, lentamente ma inesorabilmente, la qualità delle relazioni con gli Stati Uniti. L’elezione di Trump e la leadership di Xi Jinping concretizzano e palesano una insopprimibile rivalità, prima strisciante, adesso apertamente conflittuale.

Il virus del conflitto (e del Coronavirus)

Partendo dalle preoccupazioni americane relative all’affermarsi della Cina quale “fabbrica del mondo” e alla costante crescita della spesa militare, il focus della contesa tra i due Paesi si è centrato sulla questione del primato tecnologico-strategico e dell’equilibrio commerciale, oltre che all’egemonia nell’Asia-Pacifico.

Tutti i recenti capitoli dello scontro sino-americano si iscrivono in modo diretto o indiretto in questi ambiti: la questione del riconoscimento di Taiwan, con relative e reciproche dimostrazioni di forza militari nello stretto di Formosa. La sensibilissima questione della guerra dei dazi, mai del tutto sopita nonostante l’accordo del 13 dicembre, che implica un confronto serrato sulla concorrenza sleale e sui rispettivi modelli produttivi. L’affaire Huawei e delle reti 5G, legato a doppio filo alle accuse di spionaggio militare e di furto di tecnologie e know-how americano. Non ultime le tensioni nel Mar Cinese Meridionale e nella Penisola Coreana, sfociate nella strategia statunitense dell’accerchiamento anti-cinese degli alleati statunitensi (soprattutto India, Giappone e Australia) in estremo oriente, tradottosi soprattutto in restrizioni dal punto di vista delle relazioni economiche.

Cina Stati Uniti
Lo scenario di conflitto sino-americano attraverso la carta di Laura Canali.
Fonte: limesonline.com

L’escalation ha subito un ulteriore inasprimento nelle ultime settimane, relative alla pandemia globale da Covid-19, scoppiata proprio in Cina. Le velenose accuse, per ora abbastanza pretestuose, dell’amministrazione Trump riguardano le cause scatenanti dell’epidemia: secondo prove “inconfutabili” delle quali la Casa Bianca sarebbe in possesso ma che non sarebbero al momento divulgabili, il virus sarebbe fuoriuscito colposamente o dolosamente dal laboratorio di virologia a Wuhan, e dunque responsabilità delle autorità cinesi, colpevoli anche di aver sottaciuto la realtà del contagio per diverse settimane e reagito in maniera tardiva. Se quest’ultima imputazione, invero, può essere abbastanza plausibile, quello del virus “in provetta” è uno scenario smentito con decisione sia dall’Intelligence americana che dall’immunologo Anthony Fauci, punto di riferimento della task force anti-coronavirus convocata proprio dall’amministrazione Trump.

Conseguentemente a queste inverosimili insinuazioni, l’atteggiamento degli Stati Uniti si è caratterizzato per maggiore intransigenza su tutti i dossier di frizione: il presidente americano si è dichiarato indisponibile al dialogo con Pechino, arrivando fino a paventare la completa sospensione dell’interscambio produttivo, tecnologico e commerciale tra i due Paesi. La reazione di Xi Jinping si è improntata finora a una certa prudenza, espressa attraverso richieste di chiarimenti sulle recriminazioni relative al Coronavirus. La malcelata irritazione della leadership cinese è tuttavia palpabile, e si traduce in minacce di rappresaglie commerciali e addirittura militari, volte a tutelare i piani per il controverso disegno egemonico sinocentrico.

Cina e Stati Uniti: le due facce del mondo globalizzato e multipolare

Il ping-pong geo-strategico, da contesa amichevole, è in procinto di degenerare verso lo scontro totale. Gli Stati Uniti, ancora gendarme del mondo e prima potenza finanziaria e produttiva del pianeta, si affannano a contenere l’espansione della Cina, finché la super-potenza rivale non sarà effettivamente tale, facendo leva sull’arrembante sinofobia “diplomatica” da Covid-19 e concentrando la pressione sul principale vettore della proiezione globale cinese: la crescita e il consolidamento economico, specie per quanto riguarda i settori strategici.

La sconclusionata strategia trumpiana di espellere in modo coatto la Cina dalla globalizzazione sarebbe impensabile, anche secondo lo “stato profondo” americano, se non al costo di conseguenze inimmaginabili, ed è condannata al fallimento. Un conflitto aperto tra due super-potenze militari nucleari, al centro di due contrapposti sistemi di alleanze, sarebbe inaccettabile per ambo gli opponenti. Un ragionevole livello di dialogo ha inoltre inderogabili necessità di reciproca tenuta economica: la Cina è il maggiore creditore USA, avendo perseguito una minuziosa strategia di detenzione del debito pubblico americano attraverso l’acquisto in massa di buoni del tesoro da parte di investitori cinesi, mentre gli Stati Uniti sono al contempo la principale destinazione dell’avanzo commerciale cinese e la principale fonte di afflusso di capitali di investimento nel Paese. In generale, il volume degli scambi tra Pechino e Washington è il più consistente del mondo.

Trump e Xi si stringono la mano, con espressioni facciali che tradiscono diffidenza.
Fonte: edition.cnn.com

Ma c’è di più: concepire il sistema-mondo, senza la cooperazione tra i due giganti della globalizzazione, culminerebbe necessariamente nel caos. Nonostante accuse, ritorsioni, e conflitti, Stati Uniti e Cina sono condannati a giocare a ping-pong: la costruzione di un solido ordine internazionale basato su regole di convivenza e mediazione nel quale entrambi, guida rispettivamente dei Paesi sviluppati liberal-democratici e delle economie emergenti extra-occidentali, svolgono un ruolo di primaria importanza.

Questa dicotomia di fondo che le caratterizza deve farsi contrapposizione dialettica e non muscolare, proprio in virtù della posizione di peso e di sintesi che esse ricoprono nella comunità internazionale: Stati Uniti e Cina portano la cruciale responsabilità di gestire congiuntamente una pacifica transizione all’ordine multipolare e di riformare e rimodulare le distorsioni della globalizzazione, da una parte e dall’altra del tennistavolo.

Luigi Iannone

Classe '93, salernitano, cittadino del mondo. Laureato in "Scienze Politiche e Relazioni Internazionali" e "Comunicazione Pubblica, Sociale e Politica". Ateo, idealista e comunista convinto, da quando riesca a ricordare. Appassionato di politica e attualità, culture straniere, gastronomia, cinema, videogames, serie TV e musica. Curioso fino al midollo e quindi, naturalmente, tuttologo prestato alla scrittura.

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